La strage di via D’Amelio. La storia

La strage di Via D’Amelio fu un attentato, per mezzo di una bomba, avvenuto a Palermo il 9 Luglio del 1992.
Nell’attentato perse la vita il magistrato anti-mafia Paolo Borsellino e cinque membri della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (la prima donna italiana membro di una scorta di polizia e la prima vittima), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Sul luogo del delitto non venne mai ritrovata l’agenda rossa, lo strumento di lavoro di Paolo Borsellino su cui era solito annotare i dettagli delle indagini e che sempre portava con sé. Un ufficiale dei carabinieri, presente al momento dell’esplosione, ha dichiarato di aver consegnato l’agenda a Giuseppe Ayala, il primo magistrato di Palermo ad essere arrivato sul luogo. Ayala, che dichiarò di aver rifiutato di prendere in consegna l’agenda, fu criticato duramente quando parlò di una riduzione degli uomini di scorta per i giudici anti-mafia, nonostante ci fossero già stati episodi di attentati falliti nel corso degli anni.

L’esplosione

Alle 16.58 del 19 Luglio 1992 la bomba esplose, esattamente 57 giorni dopo l’attentato di Capaci, in cui il grande amico di Borsellino, il magistrato anti-mafia Giovanni Falcone, perse la vita insieme alla moglie e alla scorta.
L’unico superstite della scorta nell’attentato di via D’Amelio, Antonino Vullo, dichiarò che il giudice rimase nella sua residenza estiva fuori Palermo dalle 13.30 fino alle 16.00 circa. In seguito, insieme alla scorta, si spostò in via D’Amelio a Palermo con la scorta, dove doveva incontrare la madre. Quando arrivarono, Vullo e gli altri agenti non notarono alcun elemento sospetto. C’era qualche macchina parcheggiata, come al solito. L’esplosione fece saltare in aria la macchina in cui viaggiava Borsellino e una macchina della scorta; Vullo viaggiava su una terza autovettura.

La bomba, composta da 100kg di tritolo, era stata piazzata in una Fiat 126. Le normali procedure da seguire quando Borsellino viaggiava prevedevano di liberare la strada dalle macchine prima dell’arrivo; questa volta non venne eseguito l’ordine, perché non venne confermato dall’amministrazione del comune di Palermo, come riportò in seguito un altro giudice anti-mafia, Antonino Caponnetto. Gaspare Spatuzza, un mafioso che diventò un pentito, rivelò in seguito di essere stato lui a rubare la Fiat 126 per ordine dei clan mafiosi Graviano e Brancaccio.

La strage provocò una durissima reazione. La notte successiva al massacro, tantissimi manifestanti presidiarono la prefettura di Palermo in maniera pacifica. Ai funerali di Borsellino ci fu una protesta veemente contro le istituzioni; venne aggredito il capo della Polizia Arturo Parisi, mentre cercava di scappare. Pochi giorni dopo, il questore Vito Plantone e il prefetto Mario Jovine vennero trasferiti. Il procuratore capo di Palermo, Pietro Giammanco, diede le dimissioni. Nel frattempo circa 7.000 soldati vennero inviati a Palermo per pattugliare le strade e trovare possibili luoghi di un nuovo attentato.

Dopo la strage

Borsellino portava con sé l’agenda rossa, su cui annotava i dettagli delle indagini, prima di dare un rapporto definitivo. Nemmeno i suoi colleghi potevano leggere che cosa ci fosse scritto.
Rosario Farinella, ufficiale dei carabinieri, disse di aver recuperato l’agenda e averla data a Ayala. Ayala raccontò di essere, al momento dell’esplosione, in un hotel vicino; appena sentito il boato, accorse sul luogo.
Non riconobbe subito il giudice Falcone, in quanto, nella detonazione, aveva perso gli arti. “Qualcuno tra gli ufficiali” gli portò l’agenda rossa, ma rifiutò di prenderla con sé, perché non ne aveva l’autorità.
Il capitano dei Carabinieri Arcangioli dichiarò che non stava indossando la divisa sulla scena. Nel Settembre del 2005 Ayala cambiò la versione dei fatti, dichiarando di aver preso l’agenda rossa mentre frugava nella macchina esplosa e, successivamente, di averla data ad un ufficiale dei Carabinieri presente. Ci sono molte contraddizioni nei suoi racconti, tra cui quella di un ufficiale con la divisa e senza divisa (cambiò spesso questa parte del racconto).

Il 1° Luglio del 1992 Borsellino tenne un incontro con Nicola Mancino, che era stato appena nominato Ministro degli Interni. Non sono mai stati diffusi i dettagli sull’incontro, ma sembra che Borsellino possa averli annotati sull’agenda. Mancino, comunque, negò sempre di aver incontrato Borsellino. In un’intervista del 24 Luglio 2009, Ayala disse: “Lo stesso Mancino mi parlò del’incontro con Borsellino del 1° Luglio 1992. Mi mostrò anche un quaderno di appunti personali con il nome di Borsellino annotato”. Poco tempo dopo, Ayala negherà questa dichiarazione, in un’intervista alla rivista Sette.
Rai1, nel 2006, mostrò un video in cui si vede Arcangioli tenere in mano l’agenda rossa di Borsellino, nei pressi del luogo dell’esplosione.

Un diario personale, in mano alla famiglia Borsellino, riporta un’annotazione del giudice: “1° Luglio h 19.30: Mancino”. Vittorio Aliquò, un altro magistrato, dichiarò di aver accompagnato lo stesso Borsellino fino alla soglia dell’ufficio del ministro.

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