L’ex finanziere Sergio Cavoli: come difendersi da dossieraggi, calunnie, diffamazioni e minacce

Sergio Cavoli non è un uomo qualsiasi. Ex militare della Guardia di Finanza, divenuto negli ultimi anni esperto di intelligence economica e sicurezza informatica, oggi Cavoli può essere considerato uno dei conoscitori delle strategie utilizzate per danneggiare la reputazione di individui e imprese attraverso tecniche sempre più sofisticate: dossieraggi, campagne diffamatorie, calunnie e minacce. In questo lungo colloquio, 

L’ ex finanziere racconta cosa si nasconde dietro questi attacchi, come riconoscerli e, soprattutto, come difendersi. Il suo tono è pacato, l’esperienza traspare dalle parole precise e mai retoriche. Ma dietro ogni frase si avverte l’urgenza di un fenomeno che, come spiega lui stesso, “è ormai parte integrante della competizione economica e del conflitto sociale”.

Un nemico invisibile

“Il dossieraggio non è più solo una questione da servizi segreti deviati o da giornalisti d’assalto”, esordisce Cavoli. “Oggi basta un account anonimo, un profilo social ben costruito o un sito-fantoccio registrato all’estero per mettere in piedi una campagna devastante. Le informazioni raccolte sono spesso vere, ma manipolate, decontestualizzate o presentate con una narrazione tossica. Altre volte sono semplicemente false, costruite ad arte. Il punto è che chi subisce questi attacchi non ha quasi mai gli strumenti per difendersi”.

E qui, secondo Cavoli, si apre il vero problema: “In Italia non esiste ancora una reale cultura della sicurezza reputazionale. La diffamazione è vista come una questione da avvocati, da affrontare in tribunale. Ma la battaglia si gioca prima, e altrove: nella velocità di reazione, nella capacità di monitoraggio, nella prevenzione”.

Tecniche di attacco

Quando si chiede a Cavoli di spiegare come agisce chi mette in atto un dossieraggio, la sua risposta è netta: “Esistono veri e propri manuali non scritti. I contenuti vengono spesso messi in circolo attraverso blog sconosciuti, poi ripresi da pagine social con nomi generici, da lì approdano su canali Telegram o profili Twitter, fino ad arrivare – se tutto va come previsto – ai media tradizionali. L’obiettivo è costruire un senso di verosimiglianza. Non importa che la notizia sia vera: deve sembrare coerente, deve rafforzare un pregiudizio. Più un personaggio è in vista, più diventa vulnerabile”.

Ma non c’è solo la diffamazione. “Le minacce, anche quelle velate, servono a creare pressione psicologica. Spesso arrivano sotto forma di allusioni, commenti inquietanti, riferimenti a dati personali. È un metodo per dire: ‘Ti stiamo guardando’. Chi le riceve tende a isolarsi, ad avere paura anche di parlare con amici o collaboratori. Questo è il primo successo per chi attacca: seminare il dubbio e la solitudine”.

La macchina della difesa

Come ci si difende allora? Cavoli risponde con un approccio che unisce rigore investigativo, psicologia e strategia comunicativa.

“La prima cosa è documentare tutto. Ogni contenuto, anche se cancellato, può essere archiviato e certificato digitalmente. La prova è la base. Senza una documentazione forense, è impossibile agire legalmente o smontare una campagna”.

Il secondo passo, spiega, è il monitoraggio attivo: “Bisogna avere un sistema continuo di allerta su nomi, parole chiave, immagini. Esistono strumenti avanzati che permettono di intercettare segnali deboli, quelli che precedono la tempesta. Quando il contenuto arriva all’attenzione pubblica, spesso è già tardi”.

Il terzo fronte è la comunicazione: “Mai rispondere d’impulso. Chi si difende deve farlo con lucidità, smontando le accuse con i fatti, mostrando coerenza. In alcuni casi, il silenzio è strategico. In altri, è necessario un contrattacco misurato, che mostri l’infondatezza delle accuse. Ma ogni caso va trattato singolarmente”.

Il ruolo della legge

Dal punto di vista legale, Cavoli è netto: “Gli strumenti ci sono, ma servono tempi brevi. Un’ingiunzione d’urgenza contro un sito, un ordine del tribunale per rimuovere contenuti calunniosi, una querela ben costruita possono fare la differenza. Ma bisogna agire in fretta. E spesso serve l’intervento di più figure: l’investigatore digitale, l’avvocato penalista, lo specialista in cyber security”.

Tuttavia, avverte: “La giustizia è lenta e chi attacca lo sa. Per questo oggi la vera difesa è nella resilienza preventiva: sapere che può succedere, essere pronti, avere una rete di fiducia”.

Alla domanda su chi siano i mandanti di queste operazioni, Cavoli risponde con cautela: “Possono essere concorrenti, ex collaboratori, politici, gruppi di pressione. Ma anche semplici haters organizzati. Internet ha abbattuto ogni filtro. Quello che un tempo richiedeva un apparato, oggi si fa con pochi mezzi e un po’ di astuzia. Il punto è che chi commissiona un dossieraggio spesso resta nell’ombra. I contenuti vengono diffusi da burattini digitali, gente che si presta o viene pagata per infangare”.

Le conseguenze psicologiche

Un tema su cui Cavoli insiste molto è quello della tenuta psicologica: “Chi subisce una campagna di calunnia entra in una spirale: insonnia, stress, paura, isolamento. Le minacce non sono sempre esplicite. A volte sono bastate a far licenziare un manager o a far fallire un’azienda. Eppure, chi ne è vittima fatica a raccontarlo. Teme che parlarne possa peggiorare le cose. Ma è proprio il silenzio che li rende vulnerabili”.

Per questo, secondo lui, è importante agire subito: “Bisogna reagire, non chiudersi. Parlare con professionisti seri. Mai affidarsi a vendicatori da tastiera o a improvvisati esperti. Ogni errore nella reazione può essere usato contro di te”.

Un nuovo fronte della sicurezza

In conclusione, Sergio Cavoli lancia un appello: “Oggi la sicurezza non è solo fisica o informatica. È anche reputazionale. Le aziende, i professionisti, i personaggi pubblici devono includere la difesa dalla diffamazione nelle proprie strategie. Non è un tema per paranoici, è un tema di sopravvivenza”.

E aggiunge: “Le forze dell’ordine stanno imparando a riconoscere questi fenomeni. Ma serve un salto culturale. Solo se capiremo che l’informazione può essere un’arma, impareremo anche a disinnescarla”.

La sua voce, alla fine dell’intervista, si fa ancora più ferma: “Non bisogna avere paura. Ma neppure sottovalutare. La calunnia, se non viene fermata, diventa verità per chi legge. E chi attacca lo sa. Sta a noi cambiare le regole del gioco”.