Eleonora Evi. Intervista. L’Europa e l’ambiente.

Abbiamo parlato con Eleonora Evi, eurodeputata, membro della Commissione Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare, membro anche della Commissione Petizioni e della Commissione di Inchiesta sul Trasporto di animali vivi, nonché membro sostituto della Commissione Industria, Energia e Ricerca al Parlamento Europeo.

Eleonora Evi ci ha raccontato la differenza tra il primo mandato al Parlamento Europeo nel 2014, e quello attuale, iniziato nel 2019. Ci ha spiegato quali sono state le difficoltà che affrontò come “cittadina nelle istituzioni” quando fu eletta nel 2014 e come fa concretamente un deputato al Parlamento Europeo ad aiutare l’Italia.

Eleonora Evi ha illustrato inoltre la sua posizione sulla PAC, la Politica Agricola Comunitaria, e spiegato perché ha votato diversamente rispetto al suo gruppo. Abbiamo anche commentati i movimenti giovanili di stampo ambientalista nati in questi ultimi anni e se ritenga che la Presidente della Commissione Europea, Ursula von Der Leyen, stia portando avanti le politiche ambientaliste grazie alle quali è stata eletta.

Evi ha lanciato nel 2018 l’iniziativa “End the Cage Age”, l’iniziativa che ha lanciato al Parlamento Europeo nel 2018; e cosa pensa che accadrebbe all’economia se non ci fossero più allevamenti intensivi di animali. Oltre a diversi altri temi di natura ambientale, Evi ci ha anche spiegato come mantiene i contatti con gli elettori in patria e come riesce a gestire la sua vita privata con un lavoro molto impegnativo e con spostamenti continui.

https://youtu.be/8I1afcVWqOE

Eleonora Evi questa è la seconda esperienza come legislatura, che cosa c’è di diverso dall’elezione del 2014?

La grande differenza è che rispetto alla scorsa legislatura M5S faceva parte di un gruppo politico, sebbene con molte difficoltà, dato che al suo interno c’erano anime diverse, ma comunque tenute insieme da una visione di Europa piuttosto critica ma costruttiva. In questa nuova legislatura il Movimento non fa parte di nessun gruppo politico e questo limita moltissimo l’azione politica di un eurodeputato. Tant’è vero che  possiamo presentare emendamenti in Commissione ma non ci è concesso di presentarli in seduta plenaria, ovvero dove la direttiva arriva alla sua ultima fase di lavorazione.

È come avere il freno a mano tirato

Esattamente, abbiamo meno possibilità di incidere e meno possibilità di intervenire: far parte dei non iscritti e  non avere una collocazione politica rende difficile lavorare attivamente con altri colleghi europei. Sta molto a noi e all’iniziativa del singolo cercare di costruirsi di volta in volta delle collaborazioni.

All’inizio, nel 2014, quando sei stata eletta al Parlamento Europeo avevi appena concluso gli studi al Politecnico di Milano. Come hai fatto a gestire la politica a livello europeo, strumento così complesso?

Sicuramente non è stato semplice. Non avevo dimestichezza con le politiche europee e all’inizio è stata sicuramente una sfida. Il primo periodo è servito per orientarsi, per capire il meccanismo e come funziona l’Europa e quali fossero le possibilità a disposizione per incidere o meno, capire come interagire con i cittadini e il territorio italiano e come portare le istanze degli Italiani a livello europeo.

Io credo molto nella figura di un politico che non debba avere per forza delle competenze specifiche, ad esempio di tipo giuridico. Penso che sia giusto che nel fare politica possano prevalere anche considerazioni di esperienze e di vissuto per portare una pluralità di istanze all’interno delle istituzioni e non soltanto una visione tecnica.

Cosa può fare per l’Italia un europarlamentare?

Sembra banale dirlo – precisa Eleonora Evi – ma raccontare tutto ciò che avviene a livello europeo è un compito molto importante. Si parla poco di Europa, di questa centralità che deve ritrovare una sua ragion d’essere e una sua vera identità.

Il ruolo principale di un parlamentare europeo è capire e di ragionare insieme rispetto a quello che serve all’Europa oggi, quali sono i benefici che ha già apportato e quali sono le mancanze, dove l’Europa si è mostrata “matrigna” e lontana dai bisogni e dalle esigenze vere delle persone e dove ha compiuto dei passi avanti.

Occupandomi di ambiente ricordo spesso che è grazie alla legislazione europea, una delle più avanzate al mondo, che abbiamo garantito dei passi in avanti nella difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini europei.

Il Presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, aveva basato la sua campagna elettorale sull’ecologia e sul Green New Deal. E’ stata coerente con quanto promesso?

Si è visto per certo un grande cambio di passo. La Commissione precedente, guidata da Juncker, ha fatto scarsissimi passi in avanti in merito alla legislazione ambientale, creando danni su altri fronti. La nuova commissione è partita con il piede giusto, con grandi impegni e promesse, tra cui il Green Deal europeo, una serie di impegni che mettono al centro l’ambiente e il clima.

Siamo in un momento in cui queste grandi promesse sono ancora in via di definizione, affinchè siano termini giuridicamente vincolanti. Alcune promesse iniziano a scricchiolare, e tutto ciò che viene presentato con grande enfasi e ambizione lascia intravedere della debolezza.

Ad inizio anno si è votato per la lista dei progetti in campo energetico: una larga fetta di questi progetti è ancora legata al gas. E’ folle pensare di investire ancora nel gas, dove i progetti hanno un ciclo di vita molto lungo, se si vuole arrivare al 2050 mantenendo le promesse fatte.

Altro tema è una politica agricola comune, tema sul quale si è indietro.

Insieme ad altri colleghi, hai votato contro la Politica Agricola Comune (PAC), in contrasto con il gruppo europeo dei cinque stelle. Perché?

Ho votato contro perché ritengo che la proposta sul tavolo non fosse sufficientemente ambiziosa, non fosse minimamente in linea con gli obiettivi del Green Deal e non ci fosse un vero impegno nella lotta ai cambiamenti climatici e ad una vera trasformazione del modo di fare agricoltura.

Tutto questo è stato deciso all’interno dei grandi gruppi politici del Parlamento Europeo che, con un accordo al ribasso, hanno annacquato un testo che già non brillava. Tieni conto che il testo su cui abbiamo votato – conclude Elonora Evi – era stato redatto dall’amministrazione Juncker e quindi già poco ambizioso.

Puoi fare un esempio delle cose che ti hanno convinta di meno?

Il piano agricolo europeo prevede fondi per circa 400 miliardi di euro, corrispondenti al 30% del bilancio. Questi soldi non si spendono nel modo giusto, non si smette di premiare chi fa agricoltura intensiva utilizzando pesticidi, non si scoraggia l’allevamento intensivo, fatto sfruttando gli animali e inquinando acqua, suolo e aria e creando riscaldamento globale. Non stiamo invertendo questo processo disastroso.

In questi anni i giovani si sono riscoperti ambientalisti, accusando le vecchie generazioni di aver distrutto il loro futuro. Ma le vecchie generazioni sono quelle che hanno inventato gli smartphone, i motori ibridi, i pannelli fotovoltaici, le pale eoliche: tutte tecnologie indispensabili per i giovani. E’ vero ambientalismo o è voglia di criticare i propri padri?

Può esserci una componente di ribellione tipica dell’età adolescenziale, ma credo che abbiano ragione nel senso profondo delle loro richieste.

Penso che si tratti di una battaglia di giustizia intergenerazionale, perché è grazie alle generazioni passate se oggi abbiamo tecnologie avanzate, che possano aiutarci a trattare grandi problemi, ma è altrettanto vero che stiamo lasciando un pianeta in una condizione pietosa, forse addirittura invivibile: stiamo facendo un grave danno al nostro futuro, inteso come umanità.

Siamo di fronte a qualcosa di grave e molto pericoloso e parlare di sopravvivenza dell’uomo non è più qualcosa di così lontano o improbabile.

Nel 2018 hai lanciato l’iniziativa “End the Cage Age”, di cosa si tratta?

Sono stata molto felice di essere la prima firmataria tra i parlamentari europei di questa iniziativa con una petizione che ha raccolto oltre un milione di firme. E’ una iniziativa che consente di chiedere alla Commissione Europea una legislazione specifica su un determinato argomento.

Ed è ciò che è successo: oltre un milione e quattrocentomila cittadini in Europa hanno chiesto alla Commissione Europea di vietare l’uso delle gabbie nell’allevamento. È una battaglia di civiltà  non soltanto per combattere lo sfruttamento degli animali, ma per opporsi ad un modello di allevamento che fa molto danno all’ambiente e alla nostra salute.

L’allevamento intensivo – spiega Eleonora Evi – prevede anche l’uso di antibiotici che, attraverso la filiera alimentare, arrivano nei nostri piatti, aggravando il problema della resistenza agli antibiotici, che è uno dei primi temi da combattere a livello globale. 

Sul tema degli allevamenti intensivi, hai proposto degli emendamenti alla politica agricola europea. Come avete impostato il discorso sugli allevamenti intensivi, dato che non esiste una definizione ufficiale  per questo tipo di allevamento?

Questo è un grande vuoto nella legislazione europea, perché l’allevamento intensivo non è definito in maniera chiara e per questo motivo i fondi possono essere erogati indifferentemente dal rispetto o meno di determinati requisiti.

Abbiamo cercato di introdurre questi emendamenti, introducendo la definizione di allevamento intensivo per evitare di erogare fondi solo a chi rispetta in via generica la regolamentazione europea sul benessere animale. La legge sulla regolamentazione europea sul benessere degli animali è vecchia di venti anni e consente lo status quo e quindi gli allevamenti intensivi.

Avremmo voluto vedere finalmente un cambio di passo. Con i nostri emendamenti avevamo questo obiettivo: che la regolamentazione fosse aggiornata alle attuali conoscenze scientifiche in materia.

Immaginiamo che si arrivi alla scomparsa degli allevamenti intensivi: in molti pensano che a questo segua una diminuzione del cibo nei supermercati, un aumento dei prezzi e la perdita di milioni di posti di lavoro. Cosa succederà davvero?

In realtà nulla di tutto ciò. Certo, ogni trasformazione è difficile da portare avanti e non è immediata, ma è altrettanto evidente che continuare con pratiche che determinano tanti problemi, non può continuare.

La soluzione che dovrebbe essere incentivata è proprio quella di andare verso un allevamento che sia senza sofferenza e che possa essere rispettoso del territorio in cui viviamo. Se pensiamo che la gran parte del cibo che produciamo non viene consumato e diventa rifiuto (circa il 30%) questo già dà l’idea di un modello che è stato portato all’estremo e che ha delle conseguenze devastanti.

A causa di questa politica – ci dice Eleonora Evi – abbiamo visto una trasformazione radicale del mercato europeo. Si sono persi circa dieci milioni di posti di lavoro negli ultimi anni e circa quattro milioni di aziende agricole hanno chiuso, ma il territorio agricolo dell’Unione è rimasto invariato.

Questo è indicatore di come le aziende stanno diventando sempre più grandi, favorite dai fondi europei e schiacciando le più piccole. Ecco perché io dico che questa nuova PAC avrebbe dovuto porre un freno a questo fenomeno e iniziare un’inversione di tendenza.

Bisogna favorire le piccole aziende agricole ed evitare che la gran parte dei fondi finisca nelle mani delle più grandi che non guardano, nella produzione, al benessere e alla tutela degli animali e dell’ambiente ma alla massimizzazione del profitto.

Ad ottobre la Sicilia è diventata la prima regione plastic-free: curioso, perché governata da un esponente di centrodestra. Ce lo aspettavamo da un governatore del PD o dei 5 stelle

Indipendentemente dal colore politico, nel momento in cui si ottengono dei risultati importanti – dice Eleonora Evi – è bene prenderne atto ed esserne felici. La sua stessa conformazione geografica di isola, può aver portato prima ad una maggiore consapevolezza dell’importanza di abbandonare l’uso della plastica per salvaguardare i nostri mari, essendo questa una delle prime cause di inquinamento.

Me ne rallegro, ma me ne sarei rallegrata maggiormente se a farlo fosse stata una regione guidata da rappresentanti che hanno davvero a cuore le tematiche ambientali, rispetto ad una coalizione che non ha molta attenzione sul tema nemmeno a livello europeo. Nondimeno, si deve prendere atto che si tratta di un primo passo.

Come fai a tenere i contatti con i tuoi elettori?

È più complesso ora. In precedenza il fatto che spesso tornassi nei weekend nel mio territorio mi consentiva di partecipare, di raccontare cosa avveniva a livello europeo e di raccogliere le istanze , diffondendo l’uso della petizione europea, uno strumento importante ma poco conosciuto da parte dei cittadini.

In un momento come questo, in cui siamo confinati e si lavora molto da remoto, paradossalmente riesco ad avere un contatto migliore ed andare dove prima non sarei potuta andare:  recentemente ho avuto un incontro online sulle politiche agricole con degli attivisti del Veneto.

Non è facile mantenere un rapporto saldo con il territorio, ma è fondamentale farlo, essere presenti anche attraverso le nuove tecnologie perché la dimensione nazionale e locale deve essere centrale anche nell’azione di un parlamentare europeo.

Sono riuscita a portare tante petizioni del mio territorio a livello europeo. Penso alla mia città, Milano, dove il sindaco Beppe Sala ha appena varato un piano area che, pur essendo sicuramente ambizioso, si dimentica che se si continua a consumare il suolo e a costruire forse non si sta lavorando in modo coerente.

Questa necessità di rimanere in contatto con il territorio come impatta con la tua vita privata? Come fai a gestire tutto?

L’impatto c’è, ma fortunatamente io e mio marito abbiamo iniziato insieme questa avventura politica nel 2010, quindi mi segue e mi sostiene. Lui rimane a Milano e io mi sposto: la vita privata è quindi un po’ sacrificata.

Immagina di scrivere un telegramma a Ursula Von der Leyen, cosa le diresti?

Le direi di essere coraggiosa, – dice Eleonora Evi – perché i tempi lo impongono e di non cadere in operazioni di brainwashing e di facciata in campo ambientale, di lotta al clima e di protezione della natura, perché queste sono le grandi sfide che dobbiamo affrontare con coraggio.

Alice Salvatore

Dopo un'intensa esperienza in politica, metto al servizio del pubblico le competenze maturate per fare vera informazione. Scopriamo insieme che cosa pensano politici e personalità pubbliche. Verba volant, Scripta Manent!

https://www.facebook.com/Alice.Salvatore.ilBuonsenso/

Lascia un commento