Esiste un lato della coronavirus sconosciuto ai più, ma ben presente nelle famiglie liguri. Quello dell’aumento della violenza sulle donne, un problema vecchio come il mondo, ma notevolmente aumentato dalla necessità di rimanere spesso chiuse in casa con il proprio compagno violento.
Un’emergenza che è nata dall’epidemia di coronavirus e che ha notevolmente aumentato il rischio di violenze ai danni delle donne, in quanto molto spesso il carnefice vive in famiglia assieme alla propria compagna. Senza la possibilità di uscire di casa e quindi di ridurre il contatto con il proprio partner violento, le tensioni familiari sono arrivate rapidamente alle stelle, moltiplicando gli episodi di violenza e di prevaricazione che ormai sono all’ordine del giorno.
Le violenza nelle famiglie liguri
La violenza in famiglia che è stata testimoniata dalle donne liguri non passa solamente attraverso gesti visibili come alzare le mani ma anche attraverso sottili sfumature del linguaggio che tradiscono una violenza spesso psicologica.
Si tratta di decine di espressioni che feriscono, che si appoggiano ad un retaggio culturale antico e maschilista, e che rappresenta sicuramente il primo ostacolo ad una vera equità di genere.
Si parte con diverse espressioni utilizzate nel mondo del lavoro che sminuiscono di fatto la capacità delle donne di avere un successo professionale. Molto spesso vengono messe in dubbio le posizioni lavorative che sarebbero adatte alle donne. Allo stesso modo, quando si allude che alcune posizioni professionali vengono conquistate dalle donne solamente grazie all’utilizzo del loro corpo, si compie ugualmente una sottile violenza.
Si prosegue poi con l’amore come possesso. Alcune espressioni come “Se non stai con me non puoi stare con nessuno” oppure “Perché non hai risposto subito al telefono?” celano, dietro quelle che potrebbero sembrare normali espressioni di amore di preoccupazione, il possesso nei confronti della persona e l’intenzione di detenere il controllo della giornata del proprio partner. Fino a veri e propri divieti: “Se sei così vestita o truccata non puoi uscire”.
Molto spesso le misure per contenere il contagio sono sfruttate dai partner violenti per ingabbiare ancora di più la propria fidanzata o moglie in casa. Ecco quindi che la necessità di non uscire si trasforma, dietro minaccia, in una forma di totale isolamento personale e sociale che getta le vittime nella disperazione più nera e nella completa impossibilità di chiedere aiuto.
Inoltre le reali disposizioni in materia di distanziamento sociale si sono rivelate un boomerang per le donne, ostacolando le vittime, qualora riescano a sfuggire ai controlli del proprio partner violento, nel rivolgersi ai centri antiviolenza per una prima accoglienza.
Il collasso dei centri antiviolenza
Gli stessi centri antiviolenza sono in grave sofferenza. Durante la pandemia, i centri hanno continuato a funzionare per sostenere il sistema antiviolenza attraverso l’enorme impegno messo in campo dalle operatrici, anche nelle situazioni più critiche.
Ma i centri sono costretti a turni di lavoro estenuanti, un fenomeno dovuto in parte dal dimezzamento del numero delle volontarie, che sono generalmente di età medio alta e quindi a rischio contagio, o della malattia che spesso ha costretto in quarantena decine di operatrici.
Il personale impiegato nei centri antiviolenza che ha resistito al lavoro è rimasto molto spesso, soprattutto nel primo lockdown, a corto di mascherine e guanti, distribuiti solamente in pochissimi casi da istituzioni locali, come avvenuto Brescia, e a questo si aggiunge la completa impossibilità, o la straordinaria lentezza, nell’accedere ai tamponi.
Le emergenze dei centri antiviolenza si concretizza anche nella mancanza di spazi adeguati per proteggere le donne che chiedono aiuto. Nonostante la circolare del marzo 2020 del Ministero dell’Interno, che invitava le prefetture a rendere disponibili degli alloggi alternativi, molto spesso i centri antiviolenza sono stati costretti ad utilizzare dei bed and breakfast o degli appartamenti messi a disposizione da conoscenti ed amici per cercare di dare un adeguato spazio alle donne che scappavano da situazioni di violenza.
La condanna e la protesta dei centri anti violenza nei confronti delle istituzioni è piuttosto unanime. Questa epidemia sembra aver dato una lezione che non bisogna dimenticare. Il sostegno territoriale alle donne e i rifugi che devono essere messi a loro disposizione, non possono essere solamente la conseguenza di un’emergenza, ma ci vogliono dei piani di lungo periodo per consentire a queste fondamentali strutture di salvare la vita di migliaia di donne su tutto il territorio ligure.
L’impennata di matrimoni mancati e divorzi brevi
L’emergenza del coronavirus ha comunque avuto altri effetti simili sulla stabilità delle famiglie liguri. Sia in termini di unioni che non sono state celebrate, sia in termini di divorzi che sono stati decisi dopo pochi mesi di convivenza stretta e forzata.
Diversi matrimoni organizzati da mesi sono stati puntualmente annullati, assieme a viaggi di nozze cancellati e centinaia di cerimonie rinviate, come testimoniato dalle autorità religiose e civili. Si preannuncia così la chiusura del 2020 con un bilancio dei nuovi matrimoni celebrati a Genova in calo di 400 rispetto al 2019.
E nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di semplici rinvii dovuti alla situazione di emergenza, ma a intere nuove famiglie che, a fronte di una convivenza forzata, hanno ripensato i loro piani. La stragrande maggioranza di queste unioni, molto probabilmente, non si terrà mai.
Gli effetti della quarantena si sono visti anche tra le coppie liguri già formate, ma che hanno scelto di lasciarsi. Le richieste di separazione sono drasticamente aumentate, attestandosi attorno al 35%, a fronte di una media nazionale del 30%. Una data significativa è quella del 30 novembre, quando per la prima volta a Genova il numero dei divorzi ha superato quello delle nuove unioni, 66 contro 41.
Ad esplodere è stato soprattutto il fenomeno dei divorzi brevi, ottenuti tramite negoziazioni rapide e finalizzati in fretta e furia di fronte agli ufficiali di stato civile, senza il supporto degli avvocati.
Insomma, gli effetti devastanti di questa pandemia non si concentrano solamente nella immediata emergenza sanitaria o nelle ripercussioni economiche, ma anche e soprattutto a livello sociale, in un drammatico isolamento che ha letteralmente annullato il futuro di intere famiglie e peggiorato delle condizioni che apparivano già critiche.