La Liguria assiste in questo periodo a una crescita allarmante di casi Covid-19. Ieri si è registrata nella regione la più alta percentuale di positivi su tamponi effettuati.
Il responsabile prevenzione di Alisa ha dichiarato l’aumento esponenziale dei casi e della pressione sulle strutture ospedaliere nella città metropolitana di Genova come nelle altre provincie.
Le ultime ordinanze sono il tentativo di rispondere a questo previsto peggioramento.
Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha incontrato i sindaci delle Città Metropolitane per un confronto sulle misure anti Covid prese dal governo e sui nuovi provvedimenti. Bucci rende noto che verrà stabilita la chiusura al pubblico dalle 21 alle 6 di quattro zone di Genova (probabilmente le stesse già zona rossa: due nel centro storico, Sampierdarena e Certosa), in cui è vietata la sosta, la libera circolazione e l’assembramento: in altre parole dei semi-lockdown localizzati.
Dalla Regione arriva da parte di Toti il divieto totale di assembramento ovunque nell’intero territorio ligure per bloccare la crescita del contagio Covid.
Sono otto mesi che i cittadini liguri rispondono con responsabilità e coerenza ai divieti imposti da comuni, regione e governo. Un breve riepilogo dello sviluppo delle restrizioni aiuta a fare luce sulle incongruenze che si sono create e continuano a esserci.
Fase 1: 10 Marzo – metà Maggio
Inaugurata il 10 marzo con il decreto #iorestoacasa, nel pieno dell’emergenza e senza la possibilità di capire la gravità e la velocità dell’espansione, il premier Conte ha annunciato che l’Italia intera sarebbe diventata “zona rossa”, zona protetta.
Nonostante la diffusione fosse concentrata nel Nord, erano stati vietati gli spostamenti su tutto il territorio nazionale a meno che non motivati da ragioni di lavoro, necessità o salute. Inoltre erano sospese tutte le attività commerciali al dettaglio, le attività didattiche e i servizi di ristorazione. Era iniziato il lockdown e con esso l’assoluto divieto di assembramento.
Quel periodo, in cui ancora molto poco si sapeva del virus che iniziava davvero a fare paura, è caratterizzato dall’autocertificazione con la quale il cittadino era obbligato a muoversi.
Per la forte pressione sugli ospedali, in Liguria il 24 marzo venne inaugurata una nave da crociera convertita in reparto di convalescenza. Nel picco dell’epidemia anche una nave poteva servire per allentare il carico di ulteriori 350 malati in via di guarigione dagli ospedali.
Questi erano infatti ai limiti delle loro capacità e venivano allestite le tende di triage agli ingressi per smistare i pazienti normali dai casi Covid.
I cittadini si trovarono in una situazione di grande preoccupazione. In Liguria le notizie erano negative: tasso di diminuzione del contagio regionale tra le più basse d’Italia e focolai sparsi soprattutto nelle RSA. A Certosa il comitato di quartiere denunciava il rischio contagio causato dal massiccio numero di operai impegnati nella costruzione del ponte sostitutivo il Morandi. Mentre in tutta Italia si discuteva lo stop alle attività sportive dilettantistiche, si guardava con un occhio stupito e preoccupato per il proseguimento dello sport professionistico: caso emblematico la partita di Champions League Atalanta-Valencia allo stadio Meazza.
Ad aprile bastava davvero poco per riconoscere dei primi segnali di miglioramento: il 24 aprile il primo neo-papà poteva assistere alla nascita di suo figlio in presenza, ma solo se asintomatico e munito di dispositivi di protezione individuale.
Insieme venivano proposte le prime vie per l’uscita o la convivenza con il virus. Il 15 aprile vennero distribuite mascherine gratuitamente nelle buche delle lettere dei cittadini liguri, mentre il presidente di Regione proponeva la “via israeliana” come risposta al contagio: dividere la popolazione per fasce di età, permettendo maggiore libertà a quelli sotto i 55 anni – la cui mortalità del virus è bassa – nel tentativo di tenere aperte le attività, in particolare modo quelle legate alla movida.
Riassumendo, la fase 1 è stata molto caotica e confusa, segnata da profondi cambiamenti nella vita quotidiana imposti dalle gravose restrizioni, come l’esperienza del lockdown.
Fase 2: metà Maggio – metà Giugno
Da metà maggio si è iniziato a registrare un miglioramento generale della situazione: molte attività al dettaglio vennero riaperte, si permise di visitare i congiunti all’interno della propria regione e si eliminò l’autocertificazione.
Le notizie sembravano davvero migliorare e la vita tornare verso una “nuova normalità”: il 7 maggio non si registrarono, per la prima volta da inizio pandemia, decessi causati dal Covid-19 presso il San Martino di Genova. Inoltre il governo avviò il primo test dell’app di tracciamento Immuni.
Ma se la situazione generale del paese migliorava, in Liguria Alisa riportava ancora la presenza di focolai nelle RSA sottolineando come la regione avesse il più alto numero di nuovi contagi di tutta Italia.
La situazione non era delle migliori e mentre il PD accusava Toti di aver lasciato la Liguria impreparata all’emergenza, il presidente di Regione indicava nel governo la responsabilità aggiungendo il mancato intervento sulla questione “pedaggio autostradale”.
In questo periodo, in cui i cittadini iniziavano ad abituarsi all’uso di mascherine e mezzi di prevenzione, la questione più urgente per il paese era la mascherina a 50 centesimi nelle farmacie. Eppure, tra ansie e preoccupazioni, quel periodo di semi-libertà lasciò spazio all’estate.
Fase 3: metà Giugno – metà Agosto
Arrivata l’estate il virus perse potenza di contagio. Diminuirono ancora le restrizioni, si ripresero gli spostamenti interregionali e addirittura vennero permessi gli spettacoli con 200 persone al chiuso e fino a 1000 all’aperto.
Il 19 giugno la nave ospedale nel porto di Genova venne chiusa, ma subito scattò una interrogazione in consiglio regionale dei costi e del presunto sotto utilizzo della struttura. Ugualmente si registrarono come segnali di vittoria sul virus la chiusura del Triage e di alcuni reparti Covid negli ospedali.
Nell’euforia generale in cui anche i contagi sembrarono arrestarsi, la regione Liguria riaprì discoteche, sagre, sale slot e centri scommesse.
L’estate ha registrato il picco più basso del contagio.
Ma mentre le opposizioni criticavano la scelta di Regione Liguria di annullare il distanziamento obbligatorio sui treni ammonendo invece sulla ripresa dei contagi nella regione, il presidente di Regione, su Radio1, commentava: “Non possiamo dire sempre ‘al lupo, al lupo’ perché poi se il lupo torna bisogna spiegarlo ai cittadini. È un’estate tranquilla, il Covid gira tra noi e quindi servono prudenza e misure di precauzione, ma senza drammatizzare. Di base vedo che il popolo ha imparato a usare alcune precauzioni, ma non si può usare stesso tono per tutte stagioni. Se usiamo un tono monocorde diamo un messaggio sbagliato.”
Fase 4: metà Agosto – inizio Ottobre
L’autunno non diede scampo alla generale impreparazione al nuovo aumento di contagi. La situazione ricominciò a peggiorare e presto vennero reintrodotte misure di contenimento: la “seconda ondata” rese obbligatorio l’uso della mascherina dalle 18 alle 6 andando a colpire quei settori che fino a poco prima tutelati: discoteche e movida.
Inoltre, con l’avvicinarsi delle elezioni regionali, lo scontro politico giunse al suo culmine: mentre la Svizzera imponeva sul suo territorio una quarantena di 14 giorni per qualsiasi cittadino ligure, le opposizioni criticarono fortemente la governance di Toti sostenendo, alla luce del focolaio spezino e dei mancati controlli anti-covid nelle zone portuali, una cattiva gestione dell’emergenza.
Dal canto suo Toti rispondeva puntando il dito contro il governo per l’improvvisazione totale con cui si è organizzata la riapertura scolastica e chiamando “sciacalli” quelle opposizioni che sfruttano l’emergenza per fini elettorali.
Poi le elezioni e la riconferma di Toti. In riferimento all’obbligo dell’uso della mascherina per tutte le 24 ore e anche all’aperto, introdotto il giorno dopo il verdetto, le opposizioni tuonarono: “prima chiamava sciacalli chi denunciava l’aumento dei casi; ora impone numerose restrizioni.”
Nel frattempo le scuole erano ripartite con molte difficoltà e, nonostante l’allerta meteo e l’aumento preoccupante di contagi, si tenne il 60° Salone Nautico di Genova in cui il neo-rieletto Toti affermò: “Sono particolarmente orgoglioso che Genova e la Liguria ospitino il primo Salone dedicato alla nautica del dopo Covid.”
Fase 4: inizio Ottobre – oggi
Giungiamo così al presente, alle due ultime settimane di Ottobre, in cui il forte aumento dei contagi sembra indicare un nuovo periodo critico del quale, in realtà, si era già previsto da tempo l’arrivo.
Tra il 7 e il 18 ottobre, attraverso vari Dpcm, il governo proroga lo stato di emergenza fino al 2021, rende obbligatorio l’uso delle mascherine sia in luoghi all’aperto che al chiuso, aggiungendo – mai prima d’ora – l’obbligo di utilizzo anche nelle abitazioni private in presenza di persone non conviventi, e raccomanda fortemente di evitare feste e di ospitare più di 6 persone non conviventi nella propria abitazione. Infine introduce la possibilità di chiudere strade e piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, dopo le ore 21.00.
In Liguria si assiste allo stesso innalzamento delle restrizioni nonostante l’esorcizzazione di un nuovo lockdown: dai quartieri di Genova più colpiti che diventano zone rosse, dalla mascherina da tenere sempre anche all’aperto fino al divieto totale di assembramento in tutta la Liguria.
Inoltre il triage del San Martino è stato riaperto il 16 ottobre, segno di un significativo peggioramento.
In altre parole si è passati da un’estate piuttosto tranquilla, nei contagi e nei toni sull’argomento, a una situazione in cui si può uscire, camminare sui tragitti casa-lavoro, andare nei negozi o nei ristoranti, ma non si potrà stazionare per strada.
Conclusione
Le quattro fasi che i cittadini hanno vissuto in questi strani mesi non sono di facile interpretazione. Questa difficoltà è dovuta soprattutto alla poca chiarezza dei divieni e delle restrizioni che si sono sovrapposte e hanno creato situazioni contraddittorie in cui ogni cittadino si è trovato solo.
Una palese incoerenza di cui moltissimi liguri fanno esperienza giornalmente è l’obbligo della mascherina all’aperto e il sovraffollamento dei mezzi ti trasporto.
Nonostante la capienza massima dei bus non possa superare l’80%, soprattutto nelle ore di punta, i mezzi sono pieni e lo spazio interpersonale – ildistanziamento – non è assolutamente consentito.
È difficile capire come comportarsi in queste situazioni: ha davvero senso avere imbarazzo nell’occupare il sedile “da lasciare libero” se poi il numero di viaggiatori in piedi non permette il distanziamento?
Relativo al discorso trasporti, divertente se non fosse tragico per i pendolari che subiscono, è la questione dei treni interregionali tra Liguria e Piemonte.
La Liguria insieme alla Lombardia ha tolto il distanziamento obbligatorio sui treni; obbligo invece reintrodotto dalla regione Piemonte: il risultato è che i viaggiatori che dalla Liguria vogliono raggiungere, ad esempio, Milano sono costretti a scendere alla prima stazione piemontese a causa delle restrizioni e proseguire con dei pullman. Si suppone per poi riprendere il treno una volta giunti al confine con la Lombardia.
Di difficile comprensione è anche l’obbligo di mantenere la mascherina su naso e bocca quando si è in compagnia di amici o colleghi. Divieto che dura per tutta la durata del tragitto, ma che sparisce non appena ci si siede al tavolino del bar o del ristorante. È impossibile mangiare con la mascherina indossata, è vero, ma non è ugualmente pericoloso?
Questi dubbi sorgono soprattutto se si pensa che quest’estate le entrate nelle spiagge sono state contingentate. Sono stati segnalati con paletti o sacche di sabbia le zone in cui poter sdraiarsi e prendere il sole nonostante si fosse all’aria aperta.
In poche parole, sembrano esserci maggiori obblighi all’aperto rispetto che al chiuso, fatto bizzarro se si pensa all’effettivo rischio di contagio.
E sul distanziamento all’interno dei locali le contraddizioni appaiono ancora più assurde: è necessario disinfettarsi la mani, – dove è possibile – entrare e uscire da ingressi differenti e usare la mascherina per qualsiasi spostamento. Eppure al tavolo – per chi frequenta i Sushi “all-you-can-eat” è chiaro – è possibile stare fino a 6 persone non congiunte (come se 5 non comportasse rischi e 7 fosse gravissimo) prive del metro di distanziamento in locali spesso molto affollati e senza un’autentica areazione.
Stesso discorso vale per la movida che da inizio pandemia ha assistito a continui cambiamenti: se prima voleva essere tutelata attraverso la “via israeliana” o il mantenimento delle discoteche aperte, spesso in situazioni in cui era chiaro che si sarebbero creati assembramenti, ora, passato il caldo e il bel tempo, sembra essere diventata il capro espiatorio. E le misure introdotte sono a loro volta incongruenti: si sono create situazioni in cui locali chiudevano all’orario prescritto dal dpcm per poi riaprire un quarti d’ora più tardi aggirando la restrizione.
Insomma, la responsabilità e la buona volontà del cittadino è fondamentale per superare questa crisi sanitaria. E i liguri stanno rispettano convintamente le indicazioni rinunciando volenterosamente a delle loro libertà. Eppure molte contraddizioni rischiano di vanificare gli sforzi: chi vuole essere prudente è a volte obbligato a infrangere il distanziamento; l’impossibilità di attuare alcune indicazioni può far scoraggiare il cittadino che s’impegna; la palese illogicità di alcune misure diminuisce la fiducia nella gestione del virus.
Se si vuole superare il Covid-19 è necessario che ci sia un ascolto maggiore dei bisogni e delle difficoltà dei cittadini da parte delle istituzioni: solo superando queste contraddizioni e offrendo al cittadino obblighi e divieti che siano sensati e rispettabili si può uscire insieme dalla crisi.