Per capire quello che è il dibattito che scaturisce in Gran Bretagna ogni volta che si parla di Brexit è necessario conoscerne la storia o ancor meglio quella che è interpretazione dei conservatori di quella che è la storia imperiale inglese. Un punto che sia prima che dopo il referendum del 2016 non ha smesso di essere rilevante e che fa comprendere come la Brexit alla fine non sia legata fondamentalmente all’Europa ed a ciò che succede nella stessa quanto l’incapacità di questo stato di scendere a patti con quelli che sono stati i suoi cambiamenti politici ed economici in questo ultimo secolo.
E’ l’Inghilterra di oggi che ancora non riesce a liberarsi dei suoi pregiudizi storici ed imperiali. Mentre Francia e Germania vedono l’integrazione Europea come un meccanismo per assicurare la pace e ingrandire il loro ruolo a livello internazionale, non è così per la Gran Bretagna che ha fallito nel fare suo il progetto di integrazione alla base dell’Unione Europea rimanendo costretta in quella visione distopica dell’era della Thatcher per la quale l’Europa dava confini troppo stretti ad uno stato che era stato un Impero. E’ l’idea di supremazia di una certa parte della popolazione che ha portato la Gran Bretagna a cercare un’indipendenza che non le era mai mancata, interpretando le “richieste” dell’Europa come una gabbia e non come un’opportunità.

In un contesto del genere il processo riguardante l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea può essere letto come il trionfo di una visione distorta della storia del suo impero e dalla voglia di supremazia entrambe spinte da un populismo stimolato dalla crisi economica globale e da un nazionalismo economico entrambi iniziati nel 2007. Una combinazione che ha sfidato quella che era la posizione europeista da sempre parte della storia contemporanea del regno della Regina Elisabetta II. E per quanto possa scioccare, analizzati i dati non conviene all’Europa tenere tra le sue “braccia” un Inghilterra scontenta, ma appare più conveniente trovare un accordo che renda la Gran Bretagna un ottimo alleato internazionale senza che la coesione tra gli Stati Membri, per lo scontento, alla lunga venga a mancare.
Conoscere la storia inglese diventa basilare per capire il percorso che ha condotto alla Brexit e perché un quesito come quello Boris Johnson, nel corso della campagna elettorale relativa del 2016, abbia avuto successo. Egli sostenne che la scelta sarebbe stata tra una Gran Bretagna liberale, commercialmente libera e prosperosa o una che sarebbe rimasta soggetta ad un sistema nato nel 1950 che aveva portato e che avrebbe portato povertà.
Una narrativa che dava a Bruxelles la colpa di un possibile “rimanere indietro” della Gran Bretagna anche a causa della più facile immigrazione proveniente dagli altri paesi europei, togliendo lavoro agli inglesi. Comprendere la storia di questo stato consente anche di capire perché il nazionalismo ed il populismo abbiano influito nella politica nel modo imponente nel quale è avvenuto.
Il trionfo del passato
La visione di un’Europa colpevole di non far esplodere il potenziale della Gran Bretagna non è basato su parametri sociali, economici e politici: sarebbe impossibile dato che la Gran Bretagna è effettivamente la 5 più grande economia globale e uno dei punti cardine di qualsiasi istituzione globale.
Dal punto di vista dell’Unione Europea l’uscita della Gran Bretagna stimola la nascita diversi quesiti che riguardano non solo il commercio (si renderanno conto di quanto possa essere difficile ottenere un accordo commerciale con paesi terzi? Come faranno uscendo dal mercato singolo? E il processo di pace con l’Irlanda?) ma che alla fine non contano nel computo finale di quelle “ragioni” che potrebbero essere poste per convincere lo stato inglese a fare un passo indietro. Perché non rappresentano un problema di Bruxelles, ma della Gran Bretagna.
La Brexit in realtà riguarda più che altro la necessità della Gran Bretagna, o di parte della sua popolazione, di sentirsi grande come ai tempi dell’Impero e di certo da sola più grande dell’Unione Europea: una visione perlomeno anacronistica delle proprie risorse che rischia di portare l’Inghilterra ad essere quello che non è mai stata nonostante un’economia da sempre flessibile e in grado di non sentire troppo la crisi.

Tutto questo perché mentre Londra ed il suo hinterland sono divenute zone liberali e globalizzate, diverse città dell’Inghilterra del Nord, per motivi geografici e di pensiero, ancora on hanno potuto godere di questa eredità positiva scaturita dal cambiamento dell’Inghilterra nell’ultimo secolo. Quel che ha causato la necessità di una Brexit è stato il cambiamento di ruolo della Gran Bretagna nel corso dei decenni all’interno del mondo, unito a quella che è stata sentita come l’incapacità di essere influenti come in passato negli affari europei.
Un fattore nel quale è possibile riconoscere la differenza tra la Gran Bretagna e la Francia e la Germania che nell’Unione vedono uno strumento per crescere. E questo è anche colpa della vecchia politica inglese che ha sempre visto il proprio ruolo di unificatore come importante ma che ha non ha visto il proprio stato come parte dell’insieme. “Noi siamo con loro ma non siamo loro”: una visione che rende possibile comprendere il meccanismo di coloro che richiedono la Brexit con forza. E che ha reso per molto tempo l’implicita presenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea quando questa ancora non era nata, un pesante bagaglio che adesso presenta il conto.
La centralità della storia
Per quanto la centralità della storia, o ancor meglio una specifica visione del passato imperiale rappresenti l’elemento più importante alla base delle ragioni della Brexit, questo passato non è stato preso nella giusta considerazione da parte dell’Unione Europea portando ora ad avere a che fare con la ricerca di un accordo che asetticamente si deve occupare di periodi di transizione, accordi specifici e conti di “divorzio”. E facendo venire a galla quella che era una corrente “nascosta” che serpeggiava nell’Eurozona: quella di chi si sente “contro” il federalismo proposto dall’UE.
La visione della Gran Bretagna di se stessa (o meglio della sua parte pro-Brexit) è essenzialmente l’unione di diverse narrative basata sul populismo e non in linea con quelle che sono le realtà economiche e sociali di quello che il paese è ora.
1) Il momento più importante della Gran Bretagna
Non c’è niente che riesce a spiegare meglio perché la storia è importante in questo processo di Brexit che quel momento nel 1940 dove l’Inghilterra si trovava da sola, isolata, come unica forza che riusciva a resistere alla Germania ed alla sua potenza distruttiva. Il modo in cui ha combattuto, la battaglia di Dunkirk, ed il coraggio morale di Churchill si opponevano e si oppongono ancora oggi a quell’Europa di “cattivi” del conflitto che ovviamente non è la stessa Unione Europea che ora vuole essere un’unica voce comune.
Per quanto sia giusto commemorare chi è morto nel corso della seconda guerra mondiale, è ingiusto utilizzare il loro sacrificio come arma contro l’unità europea. Ma allo stesso tempo non bisogna sottovalutare quello che questa memoria storica consente di ottenere: la visione di una Gran Bretagna che non ha bisogno di nessuno in un contesto che per definizione, secondo chi richiede la Brexit, è sbagliato.
2) Siamo noi che abbiamo perso la guerra
In questo caso la realtà storica viene rimpiazzata da una nostalgia nazionalista che ha spinto l’acceleratore, proprio in memoria di coloro che erano morti per difendere la libertà, su una presa di coscienza non propriamente corretta. Sì, i rapporti tra Stati Uniti ed il Regno Unito sono caratterizzati da una certa dipendenza, ma questo non significa che la Gran Bretagna “abbia perso la guerra” o che non si potrà mai tornare ad una condizione di “eroismo” e “potenza” fino a che sarà avvolta dall’abbraccio “soffocante” dell’Unione Europea.
Secondo coloro che sostengono la Brexit, la Gran Bretagna negli anni ‘60 e ‘70 avrebbe dovuto concentrare i suoi sforzi nel mantenere l’Impero piuttosto che far parte dell’Europa. Sarebbe colpa di quest’ultima tutto ciò che il Regno Unito ha perso in termini di territorio negli anni, ivi compreso il fiasco di Suez del 1956. Secondo questa narrativa, la Gran Bretagna, una volta libera dal giogo dell’Europa potrà ritornare a dominare a livello globale: un approccio decisamente errato visto che non solo gran parte dell’Impero ha ritrovato la sua indipendenza, ma anche perché il sistema mondiale così come attivo ora si basa un equilibrio ben preciso di valore economico e valutario che non è detto che la Gran Bretagna riuscirà a riconquistare.
3) Amici con benefici?
Tra le correnti di spinta pro Brexit vi è proprio il rapporto tra il Regno Unito e gli Stati Uniti: coloro che supportano la divisione vedono in una potenziale alleanza esterna all’Europa tra i due stati come l’asse che li renderebbe nuovamente al top delle potenze globali. Un’unione così solida capace, secondo Nigel Farage, di poter dar vita ad un accordo commerciale di mercato tra le due parti in meno di 48 ore.

Anche in questo caso è la storia ad avere un peso molto forte: eliminando dall’equazione il fatto che gli Stati Uniti siano nati in risposta ad una secessione dalla corona inglese, coloro che supportano la Brexit sostengono che le relazioni angloamericane (sociali, politiche ed economiche) risalgono a molto prima della Seconda Guerra Mondiale e che una loro ripresa e stretta, porterebbe gli inglesi a riconquistare quei “giorni d’oro” tipici dei tempi dei primi ministri conservatori come Harold MacMillan e Margaret Thatcher.
Il problema, con questa ennesima narrativa, consta nel fatto che ancora una volta si basa su un giudizio molto selettivo del ruolo della Gran Bretagna dal 1945. Basta pensare alle regole economiche applicate dagli Stati Uniti nei confronti del Regno Unito sia nel 1918 che nel 1945 (stop agli aiuti, N.d.R.): solo con l’inizio della guerra fredda la visione economica inglese è riuscita ad “adattarsi” ai pieni economici americani.
Senza contare che gli Stati Uniti hanno visto il Regno Unito sempre come partner di minoranza e non come pari: visione peggiorata dalla decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Europa. E questo accade perché fin dai tempi di John F. Kennedy gli Americani hanno percepito come chiave per migliori rapporti con l’intera Europa la presenza degli inglesi nell’Unione Europea.
4) Non è quello per cui abbiamo firmato
Uno dei maggiori problemi della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa è quello di essere rimasta ancorata alla visione del 1973 e dell’EEC sulla base del suo potenziale economico e non degli obiettivi che sarebbero potuti essere raggiunti, politicamente, da alcuni dei suoi membri fondatori. Questo significa che l’Unione Europea non è più vista dagli inglesi come una possibilità di crescita economica ma come la base per una futura (e più vicina) unione politica di Stati come negli Stati Uniti.
I sostenitori della Brexit non vogliono essere parte di una federazione di Stati: una narrativa complessa (e poco probabile al momento, N.d.R.) utilizzata come spauracchio di perdita di indipendenza che si nutre dell’evidente europeismo di Francia e Germania, considerate quasi come un’asse a parte all’interno dell’UE.
La realtà dei fatti mostra che, a livello storico, quello della federazione europea di stati è un “minaccia” utilizzata quasi ininterrottamente dal partito conservatore inglese, dimenticando che nonostante tutto, l’Europa nel dopoguerra divenne una necessità economica per la Gran Bretagna e non una scelta politica da prendere. Ecco perché il discorso del “riprendersi il proprio potere” è sbagliato ed evidentemente sostenuto da una errata interpretazione della storia inglese, mettendo in atto quella che era la visione di McMillian a proposito dell’integrazione europea. “Dobbiamo prendere il comando, o nell’espandere il loro progetto, o se non cooperano con noi, nel combatterlo”.
E’ abbastanza chiaro che storicamente la Gran Bretagna ha fallito nell’assumere il “comando” dell’Unione Europea, e che questo sia diventato uno dei motivi chiave di risentimento alla base del discorso Brexit. Come disse uno studioso inglese: “La liberazione che la Bretagna tanto agogna non è da Bruxelles ma dalle sue stesse illusioni.
Brexit e la lezione non imparata dalla crisi del canale di Suez
Questi filoni storici finora spiegati sono tipici in natura a quelli che vengono presentati da molti altri stati nostalgici dei tempi dove non esisteva Unione Europea, ma come si è potuto constatare, gli stessi seppur utilizzati come motivazioni per richiedere l’uscita dalla stessa, non possono essere considerati accurati dato che dimostrano una forte ignoranza in merito alla storia stessa. Non aiuta la causa della Brexit riportare selettivamente ed in modo sbagliato degli avvenimenti storici al fine di creare una versione populista della storia. La crisi relativa al canale di Suez del 1956 ne è un esempio plateale accompagnata dall’evidente cambio di ruolo strategico globale dell’Inghilterra. La mancata confisca dello stesso da parte delle forze militari inglesi ha cancellato qualsiasi illusione in tal senso dato che è stata in grado dimostrare come si trattasse di una mossa meramente economica e che la Gran Bretagna aveva ormai perso la capacità di agire da sola senza il supporto militare o politico da parte degli Stati Uniti.

Il fallimento di Suez viene interpretato da coloro che supportano la Brexit come esempio di un Regno Unito che prendeva importante decisioni geopolitiche da sola e non (come correttamente sarebbe) come esempio di uno stato che aveva perso la sua potenza insieme all’impero e che poteva “rinascere” se avesse sostenuto adeguatamente un’Europa Unita. Anche perché: per quale motivo e come affermarsi come leader morale e militare a livello internazionale in un periodo dove la parola d’ordine è tagli al budget degli armamenti?
Ma anche non tenendo da conto questo specifico “problema”, Suez insegna che la Gran Bretagna, non avendo supporto dagli Stati Uniti, in quel caso si rivolse all’Europa per rimanere rilevante a livello globale: perché quindi coloro che supportano la Brexit pensano di poter contare sull’America per “ricostruire l’impero”? Pur tralasciando l’ingenuità di una simile affermazione, come pensano i sostenitori dell’addio di far fronte alle pesanti conseguenze economiche che di sicuro l’addio all’Unione Europea comporterà? E ricordiamo: agli Stati Uniti fa più comodo un Regno Unito partner all’interno dell’UE piuttosto che fuori dalla stessa. Il fallimento di Suez creò a suo tempo divisioni nella politica, nella società ed addirittura nelle famiglie, tanto quanto la Brexit in questi anni. Ed allo stesso modo ha causato le dimissioni del primo ministro conservatore dell’epoca per via del fallimento della politica estera dallo stesso sostenuta senza però perdere la maggioranza dei voti puntando sui classici cavalli di battaglia della disoccupazione e delle tasse nonostante al governo non ci fosse altro che il partito conservatore.
Brexit imperiale ed il fallimento della Gran Bretagna Europea
Per coloro che sostengono la Brexit l’Unione Europea è una istituzione che ha le sue radici nel passato e che si è dimostrata incapace di aggiornarsi per andare incontro a quelle che sono le grandi sfide tecnologiche, demografiche ed economiche del nostro tempo mentre il Regno Unito, con la sua gloriosa storia di esportazione della democrazia che è stata in grado di distribuire benessere e pace dovunque (come hanno fatto gli americani) è diventata un esempio di quello che può raggiungere una democrazia. Ancora una volta si tratta di una visione affetta da una interpretazione distorta della storia: perché se Londra è effettivamente una città inclusiva e moderna, cercando la Brexit la Gran Bretagna in realtà rifiuta proprio quella modernità e capacità di sfida che dice di ricercare volendosi staccare.
In pratica, le conseguenze negative del lasciare l’Europa vengono ignorate a favore di una visione del Regno Unito come potenza globale, puntando su una nostalgia che non ha basi attuali e che soprattutto non può essere fondamento di uno stato davvero forte. E’ impossibile applicare quella che poteva essere la visione dell’economia del 1973 nel 2020: tutto quello che si ottiene, essendo completamente diversa la situazione geopolitica è un isolamento che non porterà alla crescita “imperiale” sognata dai sostenitori della Brexit.
Detto questo, va sottolineato che una visione selettiva ed idealizzata della storia non è stato l’unico elemento che ha portato alla vincita del referendum da parte di coloro che volevano il distacco. Vi è il fallimento del Regno Unito di creare un’Europa britannica dando la colpa al resto dell’Unione e non alle scelte poco opportune interne al quale si deve aggiungere l’aver cavalcato l’onda della crisi globale puntando non alla sua risoluzione ma alla messa in atto di politiche contrastanti l’autorità a lungo termine europea a prescindere dai costi economici e sociali. Infine, ma non per importanza, la percezione errata del declino inglese condita da abbastanza populismo e nazionalismo da trasferire le proprie colpe a terzi (in questo caso l’Europa).
Il fallimento nel costruire un’Europa Britannica
Anche Margaret Thatcher, nonostante la sua posizione, tentò prima del trattato di Maastricht di forgiare l’Europa su stampo britannico: non è una novità che il piano originario di Londra fosse quello di utilizzare l’UE come semplice strumento di crescita economica e commerciale. Qualcosa di più accettabile del modello continentale che avrebbe messo il potere nelle mani dell’Europa. Un leit mmotive che è partito con lei ed è arrivato fino a David Cameron e che voleva il Regno Unito come potenza principale insieme a Germania e Francia, che al contrario dell’Inghilterra, hanno deciso di sfruttare a proprio favore proprio quell’europeismo mal tollerato dagli inglesi. Una visione che voleva “l’egemonia inglese” rispetto agli altri Stati Membri: qualcosa che con il Trattato di Roma è stato chiaro non si sarebbe mai avuto. Da qui nasce principalmente la necessità, per i conservatori, di influenzare l’Europa con il modello britannico partendo con il ricordare addirittura le differenze tra gli abitanti dell’antica Roma e i popoli inglesi dell’antichità. Un modo arrogante per riaffermare ancora una volta la Bretagna come potenza dalla forza eccezionale per millenni nonostante la storia, sopratutto contemporanea, riporti un’altra trama. Come è possibile constatare, il tentare di costruire un’Europa britannica è stato un fallimento puntualizzato dalla caduta del muro di Berlino e dell’Unione sovietica e la capacità di Francia e Germania di trovare il modo di collaborare. La mancata volontà del Regno Unito di adottare l’Euro ha rappresentato il primo passo verso una concreta possibilità di Brexit.
Crisi economica
Per quanto la Gran Bretagna rispetto ad altri Stati dell’Unione Europea presenti un’economia più forte, questo non toglie che la crisi economica del 2007/2008 non abbia avuto forti impatti anche su di lei. La lenta ripresa della crescita ha portato ad un innalzamento sensibile del debito pubblico e d il deficit solo nel 2017/2018 è tornato a livelli sostenibili. Il prolungarsi delle conseguenze della crisi ha ovviamente influenzato molto la percezione popolare, facendo sentire la presenza di un declino maggiorata forse rispetto a quello che era realmente, facendo trovare ai sostenitori della Brexit terreno fertile per conquistare coloro che cercavano un colpevole da additare a discapito di quell’integrazione europea che al contrario può aiutare a sostenere e combattere la crisi.

Il declino della Gran Bretagna globale
Ad amplificare il malcontento ed a rendere possibile la Brexit, vi è stato anche il declino dell’immagine della Gran Bretagna a Livello Globale. E’ nella comparazione con altri (in questo caso la Germania in particolare, N.d.R.) protagonisti geopolitici che il Regno Unito ha perso quell’aura di forza che si attribuiva: ecco quindi che una crescita minore rispetto a terzi non è stata presa (o sfruttata) come possibilità per migliorare ma come elemento sul quale puntare il dito.
Il problema anche in questo caso deriva dalla percezione storica distorta proposta da coloro che hanno sostenuto la Brexit: sono l’Europa ed alcuni stati cardine a favorire con le loro azioni i mancati risultati ottenuti dalla Gran Bretagna accompagnati dalla struttura sbagliata dell’Europa che non consente al Regno Unito di crescere.
Non sono quindi per coloro che vogliono lasciare l’UE un problema le debolezze interne ma il sistema europeo che spesso fatica anche ad “aiutare” e contenere le crisi. Un problema, quello del non prendersi la responsabilità delle proprie azioni e di indugiare in una visione imperialista del proprio potere che unito all’incapacità di gestire il valore della propria valuta ed una spinta all’armamento non calibrata, che è stato causa della perdita dell’importanza della Gran Bretagna a livello globale.
Quella dell’impero è una narrativa che non deve essere presa sottogamba, data la continua nostalgia della popolazione per i “tempi d’oro” nei quali il Regno Unito era una superpotenza che si espandeva in tutti i continenti.
Le narrative ed il declino nel referendum del 2016
Il referendum del 2016 ha mostrato che per quanto prive di fondamento storico, queste linee di pensiero sono risultate estremamente contagiose tra la popolazione perché in grado di puntare su due elementi sostanziali: l’identità inglese e il declino della Gran Bretagna come potenza.
Idee che hanno trovato terreno fertile nei più anziani e in coloro che faticando di più a livello economico e sociale, hanno creduto che la colpa potesse essere di un’Europa che limitava la grandezza della Regno Unito che, da solo, avrebbe potuto risollevare le proprie sorti dopo la grande crisi del 2007. Cosa indica questo? Che la campagna del “restare nell’UE”, in materia di economia, non è stata assolutamente efficace rispetto alla visione del grande Impero di un tempo e della sua ipotetica ricostruzione. Non è un caso che recenti ricerche abbiano mostrato come il supporto popolare al partito Laburista sia più alto e in crescita nelle grani città, nelle aree caratterizzate da diversità etnica e dalla presenza di persone più giovani e preparate.
La Gran Bretagna come King Lear del mondo diplomatico
Nonostante una politica interna frammentaria, il discorso del “riprendere il potere” tipico del partito conservatore e di coloro che sostengono la Brexit è quello che più mantiene la sua presa nel dibattito pubblico. Il “divenire gli eroi dell’Europa lasciandola” è un mantra che viene utilizzato continuamente da una parte significante dell’elettorato e del parlamento inglese, le cui radici nascono proprio dalla visione distorta che la stessa ha della propria storia, imperiale e non. Basti pensare all’idea di potersi considerare dei partner alla pari con gli Stati Uniti quando storicamente la narrativa dice qualcosa di completamente diverso.
Tutte le ragioni viste finora relative alla necessità di uscire dall’Eurozona, per quanto falsate rispetto alla realtà, rappresentano il centro dell’esigenza di Brexit per i conservatori pre 2016. Un’uscita che è purtroppo frutto della stessa evoluzione dell’Unione Europea, la quale non è stata in grado di tenere a sé la Gran Bretagna nella necessità di seguire una seria costruzione dell’Europa unita dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Dopo il referendum si è reso palese che il problema di questa visione è stato ulteriormente accresciuto dalle spinte populiste che non hanno nemmeno preso in considerazione quelle che saranno le conseguenze della Brexit soprattutto in caso di un’uscita senza accordo in nome di una visione passata anacronistica.
Non ti puoi liberare da un’oppressione immaginaria
Non ci si può liberare da una oppressione immaginaria: una frase che riassume perfettamente quello che è successo in Gran Bretagna con la Brexit. Essa infatti non è frutto di reali problematiche economiche e politiche con l’Europa, ma è direttamente collegata al modo sbagliato in cui una parte di Regno Unito vede se stesso. Un problema esistenziale e non reale, ma che è difficile da approcciare perché la Gran Bretagna non lo vede come una malattia dalla quale è afflitta. Uno Stato che ancora fa fatica a liberarsi di un passato imperialista che non le consente di approcciare il presente in modo sereno.
L’Europa poteva essere uno strumento di crescita e di raggiungimento di quell’egemonia tanto ricercata: il Regno Unito ha deciso di non sfruttarlo. Dal canto suo l’Europa deve leggere questo distacco come destinato ad avvenire per quelle che sono state le basi sulle quali l’Inghilterra ha sempre partecipato, mettendo prima ancora delle possibilità di crescita personale attraverso il lavoro comune, la sua personale visione distorta di sé stessa.
Ironia della sorte, sarà proprio (con molta probabilità) la Brexit a distruggere quel modello di “perfezione” tanto ricercato da coloro che non vogliono stare in Europa, compromettendo proprio quell’identità “globale” della Gran Bretagna che i conservatori vogliono raggiungere attaccandosi al modello imperiale invece di modernizzarsi. Detto ciò due conclusioni sono doverose da fare: difficilmente (Suez è indicativo) il partito dei Tory risentirà elettoralmente del proprio fiasco post brexit e nel Regno Unito le conseguenze della stessa non porteranno problemi di politica estera ma interna.