Siria: la situazione dopo 9 anni di conflitto

9 anni di conflitto in cifre
Quasi 500.000 le vittime dal 2011 ad oggi:
11 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari (UNHCR)
6,1 milioni di sfollati interni
di cui quasi 1 milione dall’offensiva di Idlib del dicembre 2019 (UNHCR)
di questi 60% sono bambini e il 21% donne
Oltre 5,6 milioni di rifugiati siriani registrati dall’UNHCR di cui:
– Oltre 3,6 milioni in Turchia
– 918.000 in Libano
– 654.000 in Giordania
– 234.000 in Iraq
– 129.000 in Egitto

L’evoluzione degli ultimi quattro anni di conflitto, nato come guerra civile, è maggiormente legata al coinvolgimento degli attori internazionali sul piano politico e militare.

Il ruolo della Russia

Il ruolo della Russia in Siria è cambiato profondamente dal settembre 2015, quando Mosca ha annunciato la propria decisione di intervenire militarmente, dispiegando le proprie forze sul campo di battaglia e avviando una massiccia campagna militare. Questa presenza sul territorio ha inciso in misura determinante sugli equilibri regionali: ha evitato la sconfitta di Assad e ribaltato in favore del regime l’equilibrio delle forze, soprattutto a seguito della resa di Aleppo del dicembre 2016 negoziata da Russia e Turchia, senza il coinvolgimento delle cancellerie occidentali. La Russia aveva mediato presso il regime siriano e la Turchia presso l’opposizione. Per vigilare sull’evacuazione di Aleppo est, il 19 dicembre 2016, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva approvato la Risoluzione n. 2328 autorizzando il dispiegamento di osservatori delle Nazioni Unite. Da allora Mosca ha potuto sfruttare l’indebolimento dei ribelli e ha assunto un ruolo chiave negli sviluppi del conflitto, vestendo anche il ruolo del principale mediatore del negoziato politico1 , concordando la cessazione delle ostilità tra il regime e i principali gruppi dell’opposizione armata a dicembre 2016 e tentando di garantirne il mantenimento tramite i colloqui di Astana (v. infra).

Il ruolo della Turchia

La conclusione della battaglia di Aleppo con la vittoria del fronte lealista, sostenuto da Iran e Russia, è stata per molti resa possibile dall’intesa tattica trovata tra Russia e Turchia a proposito della questione siriana ovvero il via libera russo all’intervento turco nel nord della Siria in cambio di una riduzione del supporto turco ai ribelli di Aleppo. È stato osservato come, pur di perseguire l’interesse nazionale prioritario di avere un avallo russo sulla questione dei curdi siriani, il regime turco abbia acconsentito ad ammorbidire la propria posizione nei confronti del regime di Damasco. A partire dall’estate del 2016 ad oggi la Turchia ha condotto tre interventi militari nel nord della Siria (Scudo dell’Eufrate, Ramoscello di Ulivo e Sorgente di pace), non solo per impedire la formazione di una fascia territoriale curda controllata dalle Unità di protezione popolare (Ypg) ma anche per favorire il ritorno nelle aree occupate dalle forze turche dei siriani rifugiati in Turchia. È stato questo uno degli obiettivi dichiarati dell’ultima operazione, Sorgente di pace (ottobre 2019) (v. infra), per riportare nel nord della Siria un milione di rifugiati. Operazione complessa, dal risultato tutt’altro che scontato alla luce della resistenza di molti ad andare in aree ancora instabili e diverse da quelle di origine, e foriera di ulteriore destabilizzazione per la configurazione demografica di queste aree a maggioranza curda. Com’è noto, i soldati curdi delle YPG (Unità di Protezione del Popolo) sono da tempo combattuti dai turchi perché accusati di essere alleati del PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi in Turchia, considerato da Ankara “terrorista”.

Allo stesso tempo, sono stati i migliori alleati dell’Occidente contro Daesh in Siria e sono stati protagonisti di alcune delle sconfitte più dure inflitte sul campo ai jihadisti, tra cui la liberazione di Raqqa e Mosul. Con la caduta di Afrin, il 17 marzo 2018, Ankara ha assunto il controllo di entrambi i lati di quasi metà (400 km su 911) della frontiera turco-siriana.

Il processo politico diplomatico: i negoziati di Ginevra e il processo di Astana

Dall’inizio della guerra in Siria, numerosi round di colloqui di pace intra–siriani sono stati convocati dall’allora Inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura, sulla base della Risoluzione 2254 del dicembre 2015 del Consiglio di Sicurezza, con il supporto del Gruppo di sostegno internazionale alla Siria (ISSG). La Risoluzione 2254 prevede: la fine dei combattimenti, il ruolo delle Nazioni Unite nel coinvolgere tutte le parti del conflitto al tavolo dei negoziati, l’impegno a sostenere la sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della repubblica siriana; l’istituzione di un regime nazionale di transizione; l’avvio del processo di elaborazione di una nuova Costituzione e lo svolgimento di libere elezioni sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Al processo di Ginevra a guida ONU si è sovrapposto il processo di Astana (Russia, Iran e Turchia) a partire dal dicembre 2016. Tale processo è stato poi riconosciuto in sede ONU con la Risoluzione n. 2336. Il processo ha consentito di ristabilire un canale di dialogo tra regime e opposizione siriana e ha reso possibile agli inizi di maggio 2017 a Iran, Russia, Turchia e parti siriane di concordare 4 aree di de-escalation in cui la cessazione delle ostilità tra ribelli e forze lealiste avrebbe dovuto costituire la premessa per il ritorno di rifugiati e sfollati interni. Lo stesso accordo consentiva ai tre attori garanti di continuare i combattimenti contro Daesh e i gruppi legati ad al-Qaeda all’interno di tali aree. Le concrete probabilità di successo del processo di Astana avrebbero tuttavia risentito delle incompatibili differenze di agenda dei tre paesi. Il processo iniziato ad Astana, che avrebbe dovuto trovare il proprio culmine nella conferenza di Sochi di fine gennaio 2018, già allora incontrava difficoltà e riusciva in quella sede a trovare solo l’accordo sulla convocazione di un Comitato Costituzionale, per poi scontrarsi da subito, da una parte, con il rifiuto del regime di Assad di prendere parte attiva nel proseguimento delle negoziazioni a Ginevra nel quadro del Comitato Costituzionale e, dall’altra, della ripresa delle ostilità in quasi tutte le zone di de-escalation.

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Alessandro Capuano

Romano d’adozione, mi occupo di digitale da quando, a 12 anni, mi hanno regalato la prima console. Sono un fotografo incompetente ma curioso. La politica economica mi appassiona da sempre.

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