Emmanuel Miraglia, GIOMI: lotta alla malasanità, tangenti e abusi nelle case di riposo

Sono le situazioni più deprecabili e orribili quando si parla di sanità. Con Emmanuel Miraglia, Presidente del Gruppo GIOMI, abbiamo affrontato questi temi delicatissimi per capire come, attraverso sistemi di controllo e di sapiente gestione di un gruppo sanitario, possono essere evitati.

Presidente Miraglia, quando si verificano comunemente casi di malasanità e come è possibile prevenirli? Quali strumenti vengono generalmente adottati per ridurre gli errori o le situazioni di inadempienza? 

Il problema della malasanità è molto diffuso ma nel concreto vi sono situazioni molto diverse: anzitutto bisogna distinguere tra la malasanità data da prestazioni non erogate, cosa che comporta reati penali, o da prestazioni eseguite con negligenza da quello che riguarda invece la mancata fatturazione delle prestazioni.

Prima la fatturazione degli ospedali e delle case di cura avveniva in base alla singola giornata di degenza del paziente. Nel 1992-94, sono stati introdotti i DRG (Diagnosis Related Group) che permettono di classificare tutti i malati dimessi da un ospedale in gruppi omogenei in base alle risorse impegnate per la loro cura.

In Italia i DRG sono limitati a circa 500, mentre negli Stati Uniti sono oltre 4.000.

Essendo un raggruppamento di più prestazioni,  bisogna capire di volta in volta se applicare un DRG o un altro. I medici che eseguono la fatturazione, cioè predispongono la compilazione della cartella clinica, possono decidere che venga applicato un DRG anziché un altro. E tra un DRG e l’altro ci possono essere differenze di centinaia o anche di migliaia di euro. 

Questo controllo non è dunque un controllo sulla malasanità, ma un controllo sulla scelta della corretta applicazione di un DRG. 

Da 30 anni, in tutte le ASL, in tutte le regioni, viene verificato se la scelta dei DRG operata dei medici degli ospedali e delle case di cura è in linea o meno con quella dei medici che costituiscono un gruppo di controllo.

Nel caso in cui vi siano discrepanze, viene effettuata una riduzione dell’importo della fatturazione. 

Ma questo non ha nulla a che vedere con il discorso di malasanità come la intende l’opinione pubblica.

Per quanto riguarda il nostro gruppo, abbiamo un modello organizzativo per cui il paziente che viene al pronto soccorso deve essere immediatamente visitato, se ha bisogno di cure deve essere subito trattato e se ha bisogno di ricovero deve essere ricoverato in tempi strettissimi. 

Il Presidente del Gruppo GIOMI, Emmanuel Miraglia

Per quanto riguarda la traumatologia, ad esempio, noi miriamo a fornire ai pazienti over 65 un intervento operatorio nell’arco delle 48 ore.

Per la frattura del femore le nostre strutture sono le prime in Italia perché abbiamo un indice di trattamento che supera il 90%, mentre la media nazionale è inferiore al 70% e molti ospedali si attestano addirittura al 50%.  

C’è poi da considerare, sempre sotto l’aspetto della corretta gestione, che esiste un tetto di spesa. Le nostre strutture, per la presenza del Pronto Soccorso, hanno una produzione superiore a quella che è il tetto di spesa. Per cui, l’eventuale attribuzione di DRG con un comportamento, diciamo distorsivo, è contro l’interesse della casa di cura, perché queste prestazioni aggiuntive non vengono retribuite. 

Ritornando alla domanda che mi faceva sulla malasanità, molto spesso questa avviene perché il modello organizzativo non è ben seguito, ben controllato. Il nostro gruppo si fa vanto di questo:  medici e infermieri sono tutti soggetti ad un controllo organizzativo oltre che una verifica sul rapporto che deve esserci col paziente. 

La cura deve essere non solo ben fatta, ma anche tempestiva, perché il bisogno non è solo quello della salute, ma anche della rapida risoluzione dei propri problemi.

Una delle principali ragioni che spinge all’avvio di indagini o inchieste riguardo ai gruppi sanitari è quella delle tangenti. È evidente che il Presidente di un gruppo sanitario non può supervisionare quotidianamente decine di alti dirigenti.

Quindi, quali strumenti, secondo Lei, possono essere messi in atto per un efficace controllo anti-tangenti e anti-corruzione?

Innanzitutto, il controllo è esercitato attraverso il Comitato 231, il quale ha il compito di verificare l’osservanza di tutte le normative e si riunisce regolarmente presso ciascuna delle nostre strutture.

La questione delle tangenti potrebbe coinvolgere coloro che hanno difficoltà ad attrarre pazienti presso le proprie strutture e cercano così di migliorare, illegalmente, l’occupazione  dei propri reparti.

Un Gruppo di grande importanza come il nostro è in grado di generare ricavi che superano da anni il limite di spesa stabilito. In tal senso, un gruppo che già genera ricavi al di sopra di tale limite non avrebbe alcun incentivo a coinvolgersi in pratiche disoneste, come il riconoscimento di tangenti, poiché l’aumento dei ricavi significherebbe la generazione di ulteriori attività non remunerate.

In pratica, nessuno sarebbe incline a intraprendere tale strada. 

Questo fenomeno è dovuto all’istituzione di un parametro, previsto dal decreto Monti, che limita il fatturato a non più del 2%. Da oltre dodici anni operiamo con produzioni ancorate a tale parametro. 

Pertanto, la creazione di “incentivi aggiuntivi” per aumentare i ricoveri è possibile solo per strutture che non sono in grado di attirare pazienti sulla base della loro qualità e reputazione.

Come si può controllare in maniera efficace l’operato e la correttezza di quanto avviene in luoghi estremamente delicati come le case di riposo, ovvero i pazienti più deboli in assoluto?

Innanzitutto, molto spesso sui giornali si parla di case di cura, ma quando si va a vedere l’indagine, non sono né case di cura né residenze per anziani, ma delle case di riposo, molte delle quali addirittura non sono autorizzate, quindi abusive. 

Questo è un problema grave, e noi abbiamo chiesto sia come Gruppo, ma soprattutto come associazione, una verifica costante sulle autorizzazioni. 

Perché una casa di riposo che non ha autorizzazioni non è tenuta al rispetto dei parametri essenziali del personale nei confronti dei ricoverati. Ci sono strutture che hanno uno o due infermieri mentre dovrebbero averne dieci, se fossero autorizzate e accreditate. 

Questo crea sicuramente quegli episodi che a suo tempo furono chiamati “episodi alla Mamma Ebe” che qualcuno forse ricorderà, in cui c’era una sola infermiera che chiudeva a chiave la struttura, che era un appartamento, dove venivano accolte delle persone anziane.

Bisogna poi distinguere tra le residenze per anziani accreditate con le regioni o residenze private che rispettano certi parametri, e case di riposo pure e semplici, che pur essendo autorizzate, non danno quel tipo di assistenza sociosanitaria, ma forniscono soltanto una presenza di carattere alberghiero. 

Se parliamo invece delle strutture che hanno tutte le autorizzazioni e gli accreditamenti, gli episodi di malasanità o maltrattamenti sono molto molto rari. 

Normalmente, quando ci sono delle inchieste, ce ne accorgiamo anche perché vengono segnalate e registrate dagli organi di controllo, dai NAS in poi, dove c’è maltrattamento da parte del personale nei confronti di persone anziane o disabili.

Questo si verifica quando la struttura non è soggetta a controlli di carattere verticale, mentre nel nostro Gruppo abbiamo mantenuto la figura del caposala, che i sindacati a suo tempo hanno cercato di eliminare, del capotecnico, del capo terapista, ovvero la figura che controlla l’operato dei suoi collaboratori. 

Noi riteniamo fondamentale questa figura, che risponde alla direzione sanitaria e che controlla l’operato del personale per evitare che ci possa essere, in un momento di stanchezza da parte di un infermiere o un ausiliario, il maltrattamento di un anziano. Questo nel nostro Gruppo non può avvenire perché ognuno di questi operatori è soggetto a un controllo ed è soggetto anche a rapporti disciplinari che portano, in casi del genere, fino al licenziamento. 

Solo se ci sono dei controlli, ci può essere una tranquillità. 

Io sarei molto cauto nell’affidare un anziano a strutture dove non vi è questo tipo di organizzazione, in cui mancano persone che controllano l’operato dei subordinati. 

È un problema sindacalmente molto spesso sottovalutato, mentre noi riteniamo che sia importante, perché affidare delle persone ad una struttura senza che vi sia il massimo dei controlli e il massimo della trasparenza, è sicuramente una cosa grave.