I leader dell’Unione Europea hanno finalmente raggiunto un accordo su Recovery Fund, il piano da 750 miliardi di euro pensato per dare spinta alla ripresa delle economie degli Stati colpiti dalla pandemia di Coronavirus, dopo quattro giorni di colloqui al vertice che hanno testato i limiti della capacità dell’Unione di superare le divisioni politiche interne.
Il frutto della maratona di negoziati svoltisi sarà il Recovery Fund collegato al prossimo bilancio settennale dell’UE di 1,074 miliardi di euro, noto come “Quadro finanziario pluriennale”. Il compromesso finale trovato corrisponde a una versione ridotta di ciò che Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, aveva originariamente richiesto a maggio ai leader europei. La componente core grant del Recovery Fund è stata ridotta a 390 miliardi di euro: cifra notevolmente inferiore ai 500 miliardi di euro raccomandati dalla Commissione e spinti da Germania e Francia.
Nonostante ciò, quello sul Recovery Fund è ancora da considerare un accordo storico dato che darà a Bruxelles un potere senza precedenti: quello di prendere in prestito centinaia di miliardi sui mercati e distribuirlo come sostegno di bilancio agli Stati membri. Ecco come funzionerà il piano e cosa deve succedere per renderlo operativo.
Il funzionamento del Recovery Fund è molto lineare. La proposta centrale, denominata Next Generation EU, prevede che le commissioni prendano in prestito fino a 750 miliardi di euro sui mercati finanziari: circa 390 miliardi di euro di questa somma saranno distribuiti sotto forma di sovvenzioni, mentre il resto verrà elargita sotto forma di prestiti per facilitare la ripresa negli Stati membri. La componente centrale di queste sovvenzioni – del valore di 312,5 miliardi di euro – è stata soprannominata “Strumento per il recupero e la resilienza dell’UE”, ed è su questo che gli Stati membri hanno concentrato maggiormente le loro trattative. Questi dovranno preparare piani di ripresa nazionali, impegnandosi a riformare le proprie economie al fine di sbloccare la quota assegnata di questo finanziamento, che sarà distribuito dal 2021 al 2023. I restanti 77,5 miliardi di euro di sovvenzioni verranno quindi utilizzati per completare i normali programmi di bilancio dell’Unione Europea.
In merito alla distribuzione dei soldi, le regole che determinano la ripartizione del denaro tra i paesi e i meccanismi di controllo per garantire che i capitali vengano utilizzati per attuare le riforme promesse sono stati tra gli argomenti più controversi del vertice, insieme alle dimensioni del Recovery Fund stesso. Nel corso del triennio di distribuzione, il Comitato economico e finanziario dell’UE si occuperà di verificare il mandato in base ai principi stabiliti dall’accordo e dalle proposte di riforma approvate in sede di Consiglio Europeo. All’Italia, sembrerebbe essere stata destinata la fetta più grossa di questo fondo, pari circa a 172 miliardi, di cui 81,8 miliardi stanziati a fondo perduto e 90,9 miliardi attraverso prestiti. Alla Spagna dovrebbero andare 140 miliardi di euro: 77 di sovvenzioni e 63 di prestiti. La Polonia dovrebbe ricevere 63,8 miliardi di euro, la Francia 38,7 mentre la Germania 28,6 miliardi di euro.
Su insistenza di molti governi, i leader hanno modificato le bozze dei piani di Bruxelles per collegare chiaramente gli stanziamenti di denaro per la ripresa dei paesi al danno economico causato dalla pandemia, piuttosto che fare affidamento sui dati pre-crisi su crescita e disoccupazione.
A seguito di una lunga battaglia tra i Paesi Bassi e l’Italia, è stato anche istituito un meccanismo di governance che consentirà a un singolo Stato membro di sollevare obiezioni, nel caso ritenga che uno Stato non riesca a mantenere le sue promesse di riforma in cambio del denaro che riceve dalla Commissione. Il sistema, una richiesta del primo ministro olandese Mark Rutte, consentirà a qualsiasi governo nazionale di bloccare temporaneamente i trasferimenti finanziari di Bruxelles a un paese chiedendo ai leader dell’UE di verificare se gli impegni presi sono stati rispettati. Tale processo di revisione ha un limite di tempo di tre mesi e spetta alla Commissione Europea l’ultima parola.
I leader hanno anche discusso a proposito di un nuovo meccanismo che costringerebbe gli Stati membri a rispettare i valori democratici fondamentali dell’UE e i principi dello Stato di diritto al fine di mantenere il flusso di denaro. Il primo ministro ungherese Viktor Orban si è opposto a queste proposte, con il risultato che i leader hanno in parte passato il denaro alla commissione per progettare nuove salvaguardie di bilancio, pur concordando che una maggioranza ponderata dei governi possa bloccare i pagamenti verso i paesi per motivazioni legate allo Stato di diritto.
Parlando del rapporto con il bilancio dell’UE, l’intero pacchetto del Recovery Fund è stato negoziato insieme al prossimo bilancio settennale dell’UE, o QFP, che varrà 1,074 trilioni di euro e durerà fino al 2027. Tra gli elementi più controversi c’erano sconti garantiti agli Stati frugali e Germania a fronte dei loro normali contributi di bilancio. Ciò significa che i leader hanno stabilito i contributi nazionali dei paesi al bilancio dell’UE per i prossimi anni, dotando al contempo Bruxelles di nuovi poteri per contrarre prestiti sui mercati dei capitali per combattere la recessione.
Mentre la maggior parte del denaro preso in prestito andrà al nuovo Recovery Fund, il resto sarà convogliato attraverso i normali programmi di bilancio dell’UE, con denaro preso in prestito dalla Commissione per completare programmi esistenti tra cui Horizon, il programma di ricerca scientifica, lo sviluppo rurale e il Just Transition Fund -The European Green Deal. L’elemento sovvenzioni di questa spesa aggiuntiva è stato tuttavia fortemente ridotto dalle precedenti proposte della Commissione.
In merito alla restituzione dei soldi del Recovery Fund, la Commissione ha pianificato di stabilire una curva dei rendimenti dell’emissione di debito, con tutte le passività da rimborsare entro la fine del 2058. Questa decisione potrebbe portare a un minore apporto di denaro nei confronti dei futuri bilanci dell’UE e sono pochi i paesi che hanno fretta di aumentare i contributi versati alle casse dell’UE. L’intenzione di Bruxelles era quella di ottenere che gli Stati membri acconsentissero a consegnarle i proventi di potenziali nuovi prelievi ambientali e tasse digitali – denominati collettivamente risorse proprie – per contribuire a finanziare il debito.
Ma l’accordo raggiunto in merito al Recovery Fund offre solo frammenti di speranza. La maggior parte dei leader si sarebbe infatti impegnata a dare vita a una nuova tassa sui rifiuti di plastica: per il resto, c’è solo una tabella di marcia relativa alla gestione di nuove risorse proprie, comprese le richieste alla Commissione di elaborare progetti di piani per un “meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio” e un prelievo digitale. Di conseguenza, i costi del servizio del debito potrebbero finire per pesare sul normale QFP dell’Unione Europea nei futuri turni di bilancio.
Pensando al futuro, l’accordo raggiunto non mette la parola fine alla storia del Recovery Fund. Per prendere in prestito i finanziamenti extra, la Commissione ha richiesto un ampliamento del cosiddetto margine di bilancio, ovvero il divario tra la spesa effettiva e il massimo che l’UE può raccogliere dagli Stati membri. Ciò dovrà essere promosso attraverso i parlamenti nazionali in tutta l’Unione Europea, in un processo che dovrebbe durare fino al prossimo anno.
Inoltre, il Parlamento europeo svolgerà un ruolo chiave quando si tratterà di portare i piani nel libro degli statuti. I deputati infatti dovranno ratificare il bilancio dell’UE, sul quale hanno voce in capitolo.
L’assemblea è determinata a far leva su tale diritto per avere voce in capitolo sul fondo di recupero, non da ultimo per garantire un chiaro collegamento tra il denaro dell’UE e il rispetto dello Stato di diritto.