A cura dell’Avvocato Tommaso Rolfo, Foro di Firenze
La bancarotta fraudolenta è un reato, sancito dall’art. 322 del codice penale, che coinvolge quegli imprenditori che si sono resi colpevoli di specifiche azioni legate al proprio patrimonio nell’ambito di uno stato di liquidazione giudiziale.
Per essere considerato reo in tal senso, l’imprenditore deve aver perso, distrutto o nascosto parte o la totalità dei suoi averi per evitare di pagare i propri creditori.
Un reato questo, che avviene anche quando lo stesso ha reso pubbliche passività non reali.
Nei casi finora elencati la bancarotta fraudolenta è di tipo patrimoniale.
Essa può essere anche di tipo documentale, nel momento in cui il detentore dell’attività in bancarotta abbia falsificato, nascosto o distrutto sia nel complesso che anche solo in parte scritture e libri contabili con il fine di danneggiare i propri creditori e favorire lui stesso o i propri soci ottenendo del profitto rendendo impossibile una chiara ricostruzione dei propri movimenti.
Questo reato, in entrambe le sue accezioni è punibile con una detenzione che va dai 3 ai 10 anni.
La pena detentiva, nel caso della bancarotta fraudolenta, può essere commissionata anche a quell’imprenditore che nel corso della liquidazione giudiziale in atto decida di modificare o falsificare le scritture contabili.
Questo reato è ascrivibile anche coloro che nel corso della procedura sopra citata falsificano titoli preferenziali o eseguono dei versamenti in denaro nei confronti di creditori selezionati.
In questo caso la pena detentiva può andare da uno a cinque anni.
In ogni caso, l’essere condannati per questo reato prevede per il condannato il divieto di poter aprire una nuova impresa o essere parte di un ufficio direttivo in altre già esistenti per un periodo che può arrivare fino a dieci anni.
Spiegando in parole più semplici la bancarotta fraudolenta essa consiste nel falsificare quelle che sono le disponibilità pecuniarie o nella mistificazione di ciò che si possiede per non pagare coloro ai quali si deve del denaro per aver usufruito di un servizio.
Le due tipologie di bancarotta
Esistono due tipologie di bancarotta: quella impropria dove il soggetto è il liquidatore di una società, l’amministratore o il direttore generale e quella propria dove l’agente è l’imprenditore che ha dichiarato fallimento.
È proprio la dichiarazione di fallimento a essere la base fondante del reato dato visto che da questa dipende la liquidazione giudiziale, la procedura dalla quale hanno origine le azioni che possono essere punite.
Azioni o condotte che tra l’altro possono essere precedenti o successive alla dichiarazione di fallimento.
La bancarotta patrimoniale, nello specifico, riguarda una azione diretta sui beni presi in considerazione in questa casistica e viene definita dalla legge “reato di pericolo”: essa prende in considerazione l’atto diretto sui creditori per evitare il loro pagamento.
Vediamo insieme quali sono le principali condotte che vengono prese in esame per quel che concerne il patrimonio nella bancarotta patrimoniale.
La prima è la Distruzione e corrisponde all’eliminazione di tipo materiale dei beni, portando il valore economico degli stessi allo zero.
Quando si parla di Dissipazione invece, a essere distrutto è il valore giuridico del patrimonio e sia la giurisprudenza che la dottrina identificano due peculiarità precise della dissipazione che sono la consistenza rispetto alla grandezza dei beni posseduti e la non necessarietà per quel che concerne le spese.
Altra condotta legata alla bancarotta fraudolenta di tipo patrimoniale è la distrazione, ovvero quando il bene viene usato per scopi diversi dall’essere messi a disposizione per la liquidazione giudiziale e quindi per ripagare coloro che vantano un credito rispetto all’imprenditore insolvente.
L’applicazione delle normative in tal senso richiede che nell’atto di accertamento della presenza di una condotta di distrazione venga verificata l’esistenza di un’eventuale differenza rilevante nel bilancio dell’impresa tra passivo e attivo.
È importante sottolineare che tale assunto è valido prendendo in considerazione sia la bancarotta fallimentare che quella prefallimentare.
In questo ultimo caso non tutte le disposizioni sono considerate come una frode presunta da verificare al contrario di ciò che accade nel caso precedente dove i controlli sono più rigorosi.
Alla condotta di occultamento corrisponde invece l’atto di nascondere il proprio patrimonio in modo tale da non renderlo riconoscibile a coloro che lo devono calcolare, nell’ambito della procedura di liquidazione, per pagare i creditori.
Essa è molto simile alla dissimulazione, dalla quale differisce per una sottile sfumatura: si parla infatti di Dissimulazione nel caso in cui i beni non vengono nascosti fisicamente ma vengono resi “invisibili” al conteggio attraverso negozi giuridici simulati.
Cosa significa questo? Si fa corrispondere a terzi la proprietà dei propri beni.
L’esposizione e il riconoscimento delle passività inesistenti sono le ultime due condotte riconducibili alla bancarotta fraudolenta e nel primo caso si tratta di presentare un passivo del proprio patrimonio più alto di quello che è in realtà mentre nel secondo caso si rinuncia a impugnare l’esistenza di crediti vantati dai creditori per far salire il conto debiti del passivo del proprio patrimonio e quindi riconoscere un credito che potrebbe, nella realtà di fatti non essere poi dovuto.
Queste finora esposte sono le condotte legate alla bancarotta fraudolenta di tipo patrimoniale, per le quali l’imprenditore che ha dichiarato fallimento rischia dai 3 ai 10 anni di carcere.
La stessa pena può essere commissionata anche in caso di bancarotta documentale, ovvero quella che riguarda la modifica dei libri contabili e delle scritture e più in generale della documentazione legata al patrimonio da parte dell’imprenditore fallimentare, con l’obiettivo di non permettere una ricostruzione effettiva dello stesso.
Si parla anche in questo caso di condotte che non consentono di ripagare in modo corretto i creditori perché non rendono possibile la ricostruzione esatta dei beni posseduti.
In questo caso l’impedimento causato dalle condotte, per essere considerato reale, non deve essere una semplice difficoltà a ricostruire il patrimonio ma deve essere riconosciuto come assoluto.
La legge fa un distinguo importante prima di prendere in considerazione le eventuali condotte e lo fa basandosi su due differenze sostanziali basate su elementi di tipo psicologico.
La prima riguarda la presenza di un dolo specifico che mette a repentaglio il pagamento dei creditori o crea un ingiusto profitto in caso di falsificazione, distruzione e sottrazione di documenti.
La seconda riguarda il dolo generico legato a una tenuta disordinata dei documenti contabili portato però avanti consapevolmente proprio per evitare che il patrimonio venga calcolato.
Analizziamo ora nello specifico le condotte legate alla bancarotta documentale: quando si parla di Sottrazione si riconosce l’atto di nascondere, con qualsiasi mezzo tranne che con la distruzione, i documenti necessari al calcolo del patrimonio.
Con la Falsificazione invece vengono sostituiti i documenti descriventi la reale situazione fiscale con dei corrispondenti creati appositamente o ne vengono aggiunti altri creati allo stesso modo.
Altra condotta riconosciuta dal suddetto reato è la tenuta caotica delle scritture e dei libri contabili.
Generalmente in questo caso la legge in questo caso parla di azioni di manomissione e modifica dei sopra citati per evitare che i creditori possano essere pagati.
Più comunemente a livello tecnico viene riconosciuto il reato di bancarotta documentale quando si è in grado di verificare una gestione irregolare rilevante dei libri contabili, la produzione di fatture false e un uso di giroconti e storni che non consente un’agevole ricostruzione dei movimenti finanziari e del patrimonio dell’imprenditore fallito.
Esiste anche una forma particolare di bancarotta fraudolenta che occorre mentre la procedura fallimentare è in corso ma le condotte finora affrontate sono le sole che possono essere realizzate anche dopo che la liquidazione giudiziale è stata dichiarata.
Avv. Tommaso Rolfo, Foro di Firenze