Pensioni d’oro all’esame della Consulta. Si è aperta in mattinata in Corte costituzionale l’udienza per esaminare le norme varate dal Governo Letta con la Finanziaria 2014 che hanno introdotto un prelievo di solidarietà triennale e progressivo sulle pensioni alte, oltre i 91 mila euro annui, e una revisione al ribasso, pure progressiva, dell’adeguamento Istat degli assegni al costo della vita. A “impugnare” le disposizioni con 6 diverse ordinanze sono state varie sezioni regionali della Corte dei Conti sulla scorta dei ricorsi presentati da ex magistrati, ex professori universitari e dirigenti di enti pubblici e privati. Il giudice relatore è Rosario Morelli. Si sono costituite a favore delle norme Presidenza del Consiglio e Inps.
La Corte costituzionale, con 13 giudici, riaffronta il tema delle pensioni e dei tagli governativi che già fece scalpore nel maggio di un anno fa con la sentenza firmata dalla lavorista Silvana Sciarra (la 70 del 2015) sul blocco delle rivalutazioni per le pensioni più basse. La polemica col governo fu dura. Allora i giudici erano 12 e finì con un clamoroso sei a sei, dove ebbe peso il voto doppio dell’allora presidente Alessandro Criscuolo. Ma oggi, dopo l’udienza pubblica della mattina, la decisione potrebbe essere assai meno contrastata e traumatica anche per gli equilibri interni.
Vediamo perché, partendo da alcuni dati. Il prelievo della legge Letta era progressivo, il 6% per gli importi da 91 a 130mila euro, il 12% per quelli da 130 a 195, il 18% per quelli ancora superiori. Se la Corte dovesse promuovere i ricorsi lo Stato dovrebbe rimborsare circa 160 milioni di euro. Ma ovviamente, in questo caso, il problema riguarderebbe soprattutto il futuro, e cioè l’impossibilità, per rispettate il dettato costituzionale, di fare altre leggi simili.
Numerosi i principi della Costituzione che, a detta dei ricorrenti, sarebbero violati, da quello di uguaglianza (articolo 3), al diritto a una retribuzione proporzionata (35 e 36), all’equilibrio di bilancio (81 e 97), alla tutela dei lavoratori (38), al dovere di concorrere alle spese pubbliche (53). Sia l’Avvocatura dello Stato che l’Inps, nelle memorie presentate, sostengono che i ricorrenti hanno del tutto torto e quindi le loro tesi vanno respinte. Perché tecnicamente le motivazioni addotte sono inadeguate e insufficienti, al punto che gli atti andrebbero rimandati indietro per una valutazione ulteriore.
Ma l’argomento più rilevante che oggi potrebbe spingere gli alti giudici a esprimersi favorevolmente al prelievo forzoso sulle pensioni più abbienti sarebbe quello che l’intervento economico del governo Letta non aveva la caratteristica di un “manovra tributaria”. Non era, insomma, una sorta di tassa mascherata, ma una mossa per garantire un migliore equilibrio tra gli stessi pensionati. Tant’è che tra gli obiettivi del prelievo, di natura esclusivamente triennale, c’era anche quello di sostenere i lavoratori che in quel periodo risultavano “esodati”.