Di Fabrizio Mazzoleni, Giovanni Buglioni
Cleto Sagripanti è un imprenditore italiano che ha fatto della passione per le scarpe il suo marchio di fabbrica.
Nato a Macerata nel 1971, ha iniziato la sua carriera nell’azienda di famiglia, la Manas spa, che produce calzature dal 1956. Dopo aver ricoperto vari ruoli di responsabilità, nel 2002 è diventato amministratore delegato, portando l’azienda a un significativo trend di crescita, basato sulla qualità, la ricerca, l’innovazione e il branding.
Nel 2013 ha lasciato la Manas per fondare Italian Holding Moda (Ihm), un polo di marchi di alto livello del made in Italy, che ha acquisito aziende come Alberto Fermani, Les Tropeziennes e Kallisté.
Il suo obiettivo è creare sinergie tra i brand e gestirli in maniera verticale, dal design alla produzione, dalla distribuzione alla comunicazione. Sagripanti è anche un protagonista del mondo associativo: è stato vice presidente nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria, presidente di Assocalzaturifici-Confindustria e attualmente ed è stato Presidente fino al 2019 della Confederazione Europea della Calzatura.
Con lui abbiamo parlato dei suoi successi imprenditoriali, delle sfide del settore calzaturiero, della sua visione del made in Italy e dei suoi progetti futuri.
Dott. Sagripanti, quali sono gli aspetti specifici del settore calzaturiero che ritiene dovrebbero essere esplorati con maggiore attenzione?
Un primo aspetto è certamente quello della formazione, necessaria per creare nuove generazioni che possano sostituire i tecnici specializzati nelle varie fasi della produzione, i quali vanno via via in pensione.
Nei distretti calzaturieri si assiste all’apertura di nuove aziende, specializzate nella produzione di lusso, che cercano decine di operai specializzati, ma sono costrette a una lunga e costosa formazione interna.
Un secondo aspetto, legato al primo, è quello di investire nel comunicare una nuova dignità del lavoro nelle aziende calzaturiere, soprattutto ai giovani. Oggi, le aziende calzaturiere sono ambienti molto “green” e motivanti, con una politica welfare totalmente aderente alla persona, offrendo importanti opportunità di carriera.
Un terzo aspetto importante è quello di affiancare le aziende nella loro crescita nei mercati e nell’online. Oggi, le aziende/brands italiani rischiano di essere “schiacciati” dall’arrivo dei colossi francesi, che stanno facendo un importante shopping di calzaturifici.
Ben vengano i francesi quando portano investimenti lasciando il lavoro ed il valore nei distretti italiani. Tuttavia, non possiamo rischiare di “de-imprenditorializzare” il nostro settore.
Quarto ed ultimo aspetto è una nuova mentalità nella gestione dei social e della vendita online: deve essere più sostenibile ed attenta ai reali bisogni (e sogni) dei consumatori.
Ha delle previsioni o riscontra delle tendenze emergenti che considera particolarmente rilevanti per il futuro prossimo?
Nei tre anni successivi alla pandemia da COVID-19, abbiamo assistito a un aumento dell’offerta di prodotti e della produzione al di fuori della norma. Oggi, ci sono importanti scorte di calzature in tutto il mondo, e quindi stiamo vedendo una diminuzione degli ordini.
Saranno necessari da 12 a 24 mesi per smaltire queste scorte, dopodiché il settore inizierà gradualmente a riprendersi e a crescere.
Ci sono esempi di best practice o casi di studio di aziende nel settore che ritiene siano esemplari e che potrebbero servire da modello?
Ci sono aziende che rappresentano un ottimo esempio di “passaggio generazionale” (anche tra i manager) e di un ottimo approccio al mercato. Nelle Marche, in Veneto, in Campania e in tutti gli altri distretti calzaturieri ci sono aziende avanzate (non necessariamente grandi) che investono e hanno un brillante futuro davanti.
Che cosa si augura per il futuro del settore?
Un primo augurio per il nostro settore è quello di instaurare un “patto generazionale” tra i giovani che entrano nelle aziende e le figure senior cinquantenni, che ancora possono dare molto al settore, per poi trasferire il loro know-how ai più giovani.
Come in ogni settore, ci sono giovani che entrano, ma troppo rapidamente vengono messe da parte persone che possono dare ancora molto.
Un secondo augurio, che è anche un messaggio, è rivolto alla politica, che dopo anni di proclami inutili deve dimostrare davvero di credere nel settore manifatturiero e di fornire le giuste opportunità e strumenti.
E un messaggio va anche alle consumatrici e ai consumatori: devono credere di più nel Made in Italy, perché tutti ne parlano, ma pochi sono disposti a spendere un po’ di più per acquistare un prodotto realizzato in Italia.