L’Isis rivendica l’attacco di Londra

L’attentato di Londra ha una firma, quella dell’Isis che ha rivendicato l’attacco all’ombra del palazzo di Westminster.  E il killer ora ha un nome: si chiamava Khalid Masood, cittadino britannico di fede islamica, l’uomo che ha travolto i pedoni a bordo di un suv e poi ha accoltellato a morte un agente prima di essere abbattuto.

All’indomani dell’attacco che ha fatto ripiombare il Regno Unito avviato verso la Brexit nell’incubo del terrorismo, colpendolo al cuore di uno dei suoi simboli, Londra cerca di rialzare la testa. Parla Theresa May, che raccoglie la sfida riprendendo la seduta alla Camera dei Comuni dove era stata interrotta 24 ore prima in modo tanto traumatico. E si fa sentire anche la regina, elevando – come il Papa – le sue “preghiere” per le vittime di “una violenza orribile” che i leader del mondo, da Washington a Roma, condannano unanimi.

Una violenza “ispirata dall’ideologia jihadista”, fa eco la premier di fronte ai deputati, pur additando l’autore quale “figura marginale”: nota ai servizi di sicurezza di Sua Maestà come “estremista”, ma mai indagato per terrorismo. May, dopo la tensione mostrata ieri anche nell’espressione del volto a poche ore dall’evacuazione in fretta e furia da Westminster, ha sfoderato oggi i toni della leader. “Non abbiamo paura e non ci faremo intimidire”, ha scandito nel silenzio dell’aula, riservando una nota di commozione al ricordo del poliziotto Keith Palmer, vittima con un’insegnante d’origine spagnola e un americano di passaggio della furia cieca di Masood, che ha pure lasciato dietro di sé una quarantina di feriti da 11 Paesi, inclusa una turista romana.

Un attacco contro tutte “le persone libere”, ha ripreso lady Theresa, assicurando che non vi è ragione di temere attentati in serie, né di cedere al panico: “Siamo riuniti qui, nel più antico dei parlamenti, perché sappiamo che la democrazia e i valori che rappresenta prevarranno sempre”, ha proclamato, non rinunciando al contempo a insistere sull’invito tipicamente inglese al ‘business as usual’, poiché “milioni di gesti di normalità sono la migliore risposta al terrorismo”.

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