Democrazia Cristiana: la storia di un partito infinito

La Democrazia Cristiana (DC) è stato un partito politico italiano, di estrazione democratico-cristiana. La DC venne fondata nel 1943 come diretta discendente del Partito Popolare Italiano, che riportava peraltro lo stesso simbolo di uno scudo crociato. Per ben mezzo secolo, dal 1944 (anno di fondazione) allo scioglimento del 1994, la Democrazia Cristiana riunì sotto un unico simbolo forze eterogenee di destra e sinistra, centriste e di ispirazione cattolica.

Dopo lo scioglimento, avvenuto sull’onda di una vasta indagine giudiziaria nazionale che mise in luce diversi casi di corruzione politica, alla DC succedettero una serie di piccoli partiti come il Partito Popolare Italiano (PPI), il Centro Cristiano Democratico (CCD), i Cristiani Democratici Uniti (CDU) e l’Unione di Centro Cristiano Democratico (UDC).

Oggi gli appartenenti alla Democrazia Cristiana della prima ora si sono suddivisi in una serie di correnti facenti parti al centro-destra (Forza Italia, Nuovo Centro Destra, Unione di Centro e Popolari per l’Italia), al centro (Scelta Civica) e al centro-sinistra (Partito Democratico e Democratici di Centro), oltre a una serie di partiti minori.

 

Storia

 

I primi anni

Il partito venne fondato per rinnovare lo storico Partito Popolare Italiano (PPI), una forza politica fondata nel 1919 dal sacerdote cattolico don Luigi Sturzo. Il PPI raggiunse la soglia del 20% dell’elettorato nelle elezioni del 1919 e del 1921, prima di essere dichiarato illegale dalla dittatura fascista nel 1925 – sebbene alcuni membri del primo governo Mussolini fossero essi stessi dei Popolari.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, i Democratici Cristiani (chiamati anche democristiani) avviarono la ricostruzione politica post-fascista insieme agli altri maggiori partiti italiani, come il Partito Comunista Italiano (PCI), il Partito Socialista Italiano (PSI), il Partito Liberale Italiano (PLI), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Partito d’Azione e il Partito Democratico del Lavoro (PDL).

Nel dicembre del 1945, il democristiano Alcide De Gasperi venne nominato per la prima volta Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana.

Nelle elezioni del 1946, le prime dopo la fine del conflitto mondiale, la DC vinse con il 35,2% dei voti. Dopo la rottura con la coalizione comunista e socialista, fortemente voluta dal presidente statunitense Harry Truman nel maggio del 1947, la DC raccolse un’altra importante affermazione nelle elezioni del 1948 grazie al supporto della Chiesa Cattolica e degli Stati Uniti. In quella occasione, la coalizione raggiunse il 48,5% dei voti. Malgrado la portata del successo, De Gasperi continuò a governare a capo di una coalizione centrista, che raccoglieva al suo interno il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI, precedentemente scissosi dal PSI), i Liberali e i Repubblicani.

 

Da De Gasperi a Moro

 

Dal 1946 al 1994, la DC risultò essere la più grande forza del Parlamento, governando per diverse legislature grazie alle coalizioni formatesi con il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), il Partito Liberale Italiano, il Partito Repubblicano Italiano e, dopo il 1963, il Partito Socialista Italiano. Basando la sua larga maggioranza sulla componente cattolica dell’elettorato, la DC si spostò progressivamente da una posizione conservativa-liberale a una più simile a quella europea dell’epoca, improntata a una coalizione allargata al centro-sinistra. Non mancarono tuttavia diverse “derive” verso la sfera del centro-destra o addirittura della destra vera e propria, come la breve parentesi di governo guidata da Fernando Tamboroni nel 1960 ottenuta grazie all’appoggio del Movimento Sociale Italiano (MSI), derivata dai movimenti del post-fascismo italiano. Gli anni Sessanta furono caratterizzati da un ritorno verso l’ala del centro-sinistra, andando a ripristinare le posizioni politiche della DC del primo Dopoguerra.

Dal 1953 al 1979 le elezioni italiane furono caratterizzate da un deciso successo della Democrazia Cristiana, capace di contare sull’appoggio costante dell’elettorato e ottenendo nelle diverse elezioni consensi variabili tra il 38 e il 43%. Dal 1954 alla guida della DC succedettero personaggi del calibro di Amintore Fanfani, Aldo Moro e Benigno Zaccagnini, supportati dai consensi dell’ala sinistra del partito. Coalizioni con il PSI divennero abituali durante il primo governo di Aldo Moro del 1963, che sancì la definitiva partecipazione dei politici socialisti ai Ministeri più importanti della Repubblica.

Sotto la guida della DC furono varate importanti riforme per risollevare le regioni rurali più colpite dalla miseria della guerra, grazie alla parcellizzazione dei terreni ai contadini più poveri. Parallelamente vennero varate leggi per proteggere i lavoratori dallo sfruttamento, venne varato il Sistema Sanitario Nazionale e avviata una politica di alloggi a basso costo nelle principali città italiane.

Nel 1978 il partito e l’intera nazione caddero sotto shock a seguito del rapimento e del successivo omicidio di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse, dopo lo storico compromesso con il PCI. Subito dopo il rapimento di Moro, il Governo all’epoca guidato da Giulio Andreotti adottò fin dalle prime ore una linea dura, replicando alle richieste dei rapitori “lo Stato non si piega”. Una posizione molto diversa da quella dimostrata in altri casi simili, come il rapimento del figlio dell’esponente DC Ciro Cirillo avvenuto pochi anni prima e il seguente pagamento del riscatto chiesto dai rapitori. Una posizione comunque condivisa da tutti i maggiori partiti della DC, PCI incluso, con la sola esclusione del PSI e dei Radicali.

 

Il Pentapartito

All’inizio degli anni ’80 la DC perse una parte consistente del suo elettorato. Nel 1981 Giovanni Spadolini del PRI fu il primo non-democristiano a guidare un Governo dal lontano 1944, alla testa di una coalizione che comprendeva DC, PSI, PSDI, PRI e PLI, il cosiddetto “Pentapartito”. Nelle elezioni del 1983 la DC soffrì una delle sue più grandi disfatte in termini di voti, ricevendo soltanto il 32,5% con una flessione, rispetto alle precedenti elezioni, di 5,8 punti. Successivamente al risultato delle urne, Bettino Craxi (leader dell’emergente PSI) reclamò per sè il ruolo di Presidente del Consiglio, nuovamente a capo del Pentapartito.

Le elezioni del 1987 videro tornare un democristiano nel ruolo di Presidente del Consiglio con il 34,2% dei voti, mantenendo il Pentapartito ai vertici della scena politica italiana fino al 1993. Dopo il progresso economico registrato negli anni Ottanta, i primi anni Novanta videro una costante e decisa svalutazione delle moneta nazionale, la Lira, e il conseguente rilascio di quantità eccessive di bot ad elevato interesse: in questo modo, tra il 1928 e il 1992 il disavanzo di bilancio portò a un incremento vertiginoso del debito pubblico, ancora presente oggigiorno nel Paese.

 

Il declino

Nel 1992 Milano fu la sede di una delle più importanti inchieste della scena politica italiana, denominata Mani Pulite. Questa portò alla scoperta di un vasto sistema di corruzione radicato su numerosi livelli, che portò a una lunga serie di arresti e dimissioni di personaggi celebri. Dopo il crollo registrato nelle elezioni politiche del 1992 (29,7% dei voti) e i due successivi anni di scandali, incluse i processi alla mafia che videro coinvolta anche la figura di Andreotti, la Democrazia Cristiana venne sciolta nel 1994.

La decisione, ormai nell’aria, fu motivata principalmente dagli scarsi risultati raccolti nell’ambito delle elezioni provinciali, chiaro presagio di quella che sarebbe stata una disfatta senza precedenti nelle ormai prossime elezioni della primavera 1994. Nella speranza di dare una nuova immagine al partito, l’allora segretario della DC Mino Martinazzoli optò per un cambio di nome, abbandonando la storica dicitura in favore di Partito Popolare Italiano (PPI). Pier Ferdinando Casini, rappresentante dell’ala di centro-destra dello schieramento (precedentemente rappresentata da Forlani), lanciò una nuova forza chiamata Centro Cristiano Democratico (CCD) andando a stringere un’alleanza con il nuovo partito di Silvio Berlusconi, Forza Italia. L’ala più a sinistra del PPI era invece rappresentata dal Partito Democratico, mentre la destra faceva capo ad Alleanza Nazionale. Dal 1994 al 2000, molti ex democristiani confluirono in Forza Italia, divenendo di fatto il partito con più alto tasso di presenze della ex DC.

Ideologia

I principi ideologici della DC si ispiravano agli insegnamenti cattolici, sviluppati sul finire dell’Ottocento da politici come Romolo Murri e don Luigi Sturzo. Due encicliche papali, Rerum novarum di Papa Leone XIII (1891) e Quadragesimo anno di Papa Pio XI (1931) offrirono le basi politiche e sociali per la nuova dottrina.

In ambito economico la DC preferì la concorrenza alla cooperazione, supportando il modello di un’economia sociale di mercato e rigettando le idee marxiste legate alla lotta di classe. In accordo con il pensiero cattolico, la DC sostenne la cooperazione tra classi sociali formando una coalizione di larghe intese che racchiudeva sotto un unico simbolo forse di destra e di sinistra, in aperto contrasto con il pensiero socialista, comunista e con la frangia di estrema destra rappresentata dal Movimento Sociale Italiano (MSI).

Come tutti i partiti di larghe intese, la DC differì dai più classici partiti cristiani europei dell’epoca, che si basavano su ideologie conservative in aperto contrasto con gli elementi liberali e social-democratici della DC. Nonostante la sua longevità, la Democrazia Cristiana fu spesso divisa in molteplici fazioni, spesso e volentieri identificate con la figura dei relativi leader.

Fazioni

Nel corso della sua storia, la DC fu divisa da un proliferare di differenti fazioni e movimenti interni, capaci di spaziare dall’ala destra a quella sinistra del Parlamento.

La leadership centrista e liberal-conservativa di politici come Alcide De Gasperi, Giuseppe Pella, Ezio Vanoni e Mario Scelba fu presto sostituita dalla corrente progressista di Amintore Fanfani, opposta all’ala destra che aveva in Antonio Segni il suo leader. La componente di sinistra della DC affondava le sue radici nel Partito Popolare Italiano e nelle figure di Giovanni Gronchi, Achille Grandi e Fernando Tambroni, con l’influenza di leader del calibro di Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati e lo stesso Fanfani, molti dei quali si identificavano nello standard europeo del movimento social democratico.

A più riprese il partito venne guidato da figure centriste, disaffiliate dalle singole fazioni, quali Aldo Moro, Mariano Rumor e Giulio Andreotti. Spesso si assisteva a un’alternanza particolare: quando il Governo era guidato da una figura democristiana di centro-destra, il partito era invece guidato da una figura di sinistra, e viceversa. Questo avvenne in particolare negli anni ’50 quando Fanfani si insediò nel ruolo di Segretario della DC, con il Governo di centro-destra guidato da Scelba e Segni. Negli anni ’70 la situazione si ripetè con Benigno Zaccagnini (progressista) a capo del partito e Giulio Andreotti (centro-destra) a capo del Governo: questa alternanza contribuì non poco ad indebolire il potere e il prestigio della figura del Presidente del consiglio, trasformando il sistema politico italiano in una partitocrazia.

Dagli anni ’80 la DC risultò divisa in due correnti facenti capo ad Arnaldo Forlani (sostenuto dall’ala di centro-destra e dalla destra del partito) e Ciriaco De Mita (centro-sinistra), con Andreotti nel mezzo a bilanciare il peso politico degli schieramenti. De Mita, alla guida del partito dal 1982 al 1989, cercò a sorpresa di trasformare la DC in un partito conservativo sull’esempio del Partito Popolare Europeo, nel tentativo di preservare l’integrità della Democrazia Cristiana salvaguardandola da eventuali scissioni interne. Dopo la sua elezione alla carica di Presidente del Consiglio, a capo del partito fu nominato Forlani: questa alternanza di cariche diede vita a un duro confronto tra il capo del Governo e il segretario della DC, che portò l’anno successivo (1989) al subentro di Giulio Andreotti alla carica di Presidente del Consiglio, da lui mantenuta fino al 1992.

Con la caduta del Muro di Berlino, la fine dell’epoca delle grandi ideologie e gli scandali di Tangentopoli, la natura eterogenea della DC portò il partito a collassare su sè stesso. Il nucleo storico confluì nel Partito Popolare Italiano, gli elementi di centro-destra seguirono Pier Ferdinando Casini nella fondazione del Centro Cristiano Democratico (CCD) mentre altri si allearono con Berlusconi nel nascente progetto di Forza Italia. Una costola del PPI, il CDU e il CCD seguirono Forza Italia nella nuova coalizione del Polo delle Libertà, mentre il PPI confluì nel 1996 nel nuovo schieramento dell’Ulivo, la più grande coalizione di centro sinistra.

Oggi, gli ex democratici sono divisi tra Forza Italia, l’Unione di Centro (UDC) e il Partito Democratico (PD).

Appoggio dell’elettorato

Nei primi anni il consenso risultò particolarmente forte al nord Italia, specialmente in Lombardia e in Veneto che rappresentavano due tra le più forti aree cattoliche del Paese. Al sud, invece, il pensiero liberale si era radicato per decenni prima della dittatura mussoliniana e la DC stentò inizialmente a raccogliere consensi. In Emilia Romagna e nell’Italia centrale, inoltre, il nuovo partito dovette scontrarsi con gli ampi consensi raccolti dal Partito Comunista, che in alcune regioni risultava essere la forza maggioritaria.

Nelle elezioni del 1948 la DC raccolse il risultato più ampio di sempre, con il 48,5% dei voti a livello nazionale. La maggioranza risultò assoluta in Lombardia (66,8%) con punte del 73,6% nella provincia di Bergamo, 60,5% in Veneto), 69,6% in Trentino e 57,8% in Friuli Venezia Giulia. Nel centro-sud la DC superò la soglia del 50% solo nel Lazio (51,9%), Abruzzo (53,7%) e Campania (50,5%).

Dalla fine degli anni ’50 agli anni ’80 si assistì a un’inversione di tendenza, con un deciso aumento di consensi al sud a discapito delle regioni settentrionali (ad eccezione del Veneto, che rimase la regione con il maggior numero di consensi per la DC). Le elezioni del 1983 evidenziarono un crollo di consensi a livello nazionale, ribaltando peraltro la stessa distribuzione regionale dei voti: basti pensare che la percentuale più alta di voti venne registrata in questo caso nella regione Puglia, con il 46% dei consensi.

Le elezioni del 1992 registrarono un ulteriore aumento degli elettori delle regioni meridionali (41,4% in Campania, 44,5% in Basilicata, 41,2% in Sicilia), con un crollo delle regioni del nord che ottennero risultati variabili tra il 20 e il 25%. Un tracollo dovuto il larga parte all’ascesa della Lega Nord, un nuovo schieramento che spostò l’elettorato di queste regioni registrando imponenti consensi tra la popolazione.

Lascia un commento